Trieste – La Civitas


La Civitas

Giulio Bernardi

Civitas, nella terminologia latina, è una società di uomini liberi, organizzata a difesa in un singolo agglomerato urbano e ricavante i mezzi di sussistenza dal breve contado circonvicino.
Nelle prime monete triestine si nomina soltanto il vescovo: TRIES E PISCOP, come ad Aquileia soltanto il patriarca : AQUILEGIA.P. 
L’uso del nome TRIESE, che, osservando bene la forma dell’ultima E, può essere letto TRIESTE, prima dell’adozione del latineggiante TERGESTVM, è documentato da queste antiche monete e forse da poche altre fonti. Secondo A. Tamaro il «Chronicum Venetum», che è del X o dell’XI secolo, porta la forma neolatina cioè italiana di TRIESTE, in una carta del 1106 si legge IN EPISCOPATO TRIESTINO, nell’anno 1115 compare il nome di persona TRIESTO e Santa Maria de TRIESTO è detta l’ «ecclesia maior» un atto del 1172.
In epoca romana il nome della città, come si legge nelle lapidi, fu sempre TERGESTE indeclinabile.
Nelle monete immediatamente successive alle prime, viene nominata anche la CIVITAS TRIESTE, parallelamente alla comparsa sulle monete patriarcali dell’iscrizione CIVITAS AQUILEGIA. Non succede così nella vicina Gorizia, dove il nome della città è legato solo al titolo del COMES e al nome di Lienz, né a Latisana, designata come PORTUM. A Lubiana il nome della città definisce invece i denari: LEIBACENSES DE, ma esistono anche esemplari con CIVITAS LEIBACVN. Venezia non è mai Civitas nelle sue monete: il nome della città è sempre predicato del titolo dogale.
La CIVITAS è ricordata dalle monete aquileiesi fino al 1256, cioè per l’ultima volta nelle monete di Gregorio con il titolo di Electus, prima della sua consacrazione episcopale. A Trieste, invece, l’uso continua ancora all’epoca del vescovo Ulvino de Portis (1282-1285), mentre non c’ è più nei denari di Rodolfo (1302-1320), che si fregia del titolo di TERGESTINUS, come AQUILEGENSIS si nomava il Patriarca fin dall’epoca di Raimondo (1273-1298). Quale significato ha il riconoscimento, contemporaneo alla corte patriarcale e nella curia triestina, dell’esistenza della rispettiva CIVITAS? Quale la permanenza di questo riconoscimento a Trieste più a lungo che in Aquileia? Innanzitutto è prova della stretta interdipendenza iniziale tra le due monetazioni, ma nel contempo mostra che Arlongo vescovo di Trieste dal 1254 al 1280 eredita, dal periodo di coniazione comunale, una regia monetaria più autonoma, meno strettamente legata alla patriarcale. In secondo luogo testimonia la considerazione del Patriarca e del Vescovo per l’insieme dei cittadini, dei quali è presupposto in tal modo il consenso, anche nell’iniziativa monetaria che pure era, come abbiamo visto, finalizzata anzitutto ali’ accrescimento delle risorse finanziarie del sovrano.
Qui occorre una nota di carattere filologico, che andrebbe sviluppata in altra sede. Con una frequenza tale da non permettere di pensare che sia frutto di errore, il nome di Trieste è scritto, sulle monete dei tempi più antichi: ATRIESE. Atria, da cui il mare Adriatico, è una parola che deriva da atrium, che significava in dialetto italico un luogo ove si spandevano le acque, cosicché ATRIA veniva ad indicare la città di fondazione tusca che si trovava alle foci del Po. ATRIESE potrebbe essere espressione del desiderio di legare il nome di Trieste al nome del mare Adriatico, producendo anche nell’etimo un’affermazione d’italianità d’origine che pare si sentisse necessaria già nel 1200.

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I Podestà istriani


I Podestà istriani

 

Giulio Bernardi

 

Ad onta degli screzi, che spesso nascevano, l’esser sede vescovile era considerato un onore e un fattore di potenza. Infatti Capodistria, da due secoli priva di un proprio antistite e riunita alla diocesi di Trieste, impetrò nel 1186 il ripristinamento del suo vescovado, e lo dotò del reddito di cinquecento vigne e d’altri fondi rustici e con la decima dell’olio. In quest’occasione ci si presenta il primo podestà istriano, con tre consoli. Autonomia sufficiente a fare patti direttamente con Venezia era stata conquistata già nel 1150 da Cittanova, Rovigno, Parenzo, Umago e Pola, retta da una balìa di nobili.
Nel 1192 il regime podestarile e consolare appare anche a Pirano, indi lo ritroviamo a Pola (1199), mentre Parenzo ha ancora un gastaldo con tre rettori. 
Trieste continua ad avere gastaldi per tutto il secolo: il Ripaldo del 1139 ricompare dopo tredici anni, e un Vitale è gastaldo nel 1184 e figura di nuovo tra coloro che giurano fedeltà a Enrico Dandolo, a nome di Trieste nel 1202. E anche nel duecento si notano gastaldi, Mauro (1233 e 1237) ed Ernesto (1257). 

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Trieste – Sigillo comunale del 1369


Trieste – Sigillo comunale del 1369

Giulio Bernardi

Disegno tratto dall'impronta del sigillo comunale del 1369 e dai due tipari conservati al Museo di Trieste.

Disegno tratto dall'impronta del sigillo comunale del 1369 e dai due tipari conservati al Museo di Trieste

 

Questo sigillo appare per la prima volta a stampa nell’ «Historia di Trieste» del Padre Ireneo della Croce del 1698 in quella forma che ci è stata tramandata nei due tipari conservati nei Civici Musei che (Kandler?) giudica «di fattura moderna».
Non ho mai trovato un documento antico con l’impronta di questi suggelli, tanto che dubito fossero mai stati usati dal Comune di Trieste in senso proprio. Forse si tratta di copie fatte per essere tramandate, all’epoca (1516) in cui il sigillo triestino fu ricreato, con lo stemma dell’alabarda in campo fasciato, sormontata dall’aquila bicipite.

Impronta del sigillo del Comune di Trieste su un documento del 1369

Impronta del sigillo del Comune di Trieste su un documento del 1369

 

Ho avuto occasione di vedere un’impronta dell’anno 1369 ma il sigillo è di fattura assai differente.

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Trieste – Affermazione del Comune


Trieste – Affermazione del Comune

Giulio Bernardi


Precipuo carattere di rappresentante della «civitas», anzi già del «commune Tergestine civitatis», ha quel gastaldo di Trieste che incontriamo nel lòdo arbitrale pronunciato da Ditmaro, vescovo di Trieste, per la lite fra il comune di Trieste e Dieltamo (sic), signore di Duino nell’ anno 1139.
Tra le varie signorie formatesi dopo il mille in Istria e nella Carsia è notevole quella dei Duinati che dalla loro rocca dominavano la via litoranea. Molesta riusciva ai triestini quella rocca tedesca appollaiata come un falco e croniche furono le contese di confine. Il Comune e il signore di Duino, che si accusavano a vicenda di turbazioni di possesso, si accordarono infine di rivolgersi a Ditmaro. La città aveva quale procuratore il gastaldo Ripaldo, assistito da dodici «boni homines», i quali provarono con giuramento che tutte le terre dalla strada carreggiabile al mare, tra Sistiana e Longera, erano «possessio communitatis Tergestine civitatis». Le parti contendenti s’impegnarono a rispettare questa linea di confine, e il vescovo «posuit inter eos» la penale di cinque lire d’oro. In questo importantissimo lòdo ricorre per la prima volta il nome di «commune Tergestine civitatis». Szombathely richiama particolare attenzione sulla distinzione tra «civitas» e «commune». Questo appare come parte, avente una sua personalità, e investe di piena rappresentanza un suo procuratore: vanta diritto di proprietà sul territorio che è limitato dalla via pubblica tra Sistiana e Longera, e poi dalla catena dei monti Vena e dal mare. Non si tratta della zona di signoria del vescovo, ristretta a un cerchio di tre miglia di raggio, ma proprio dei beni dei cittadini. Il lòdo prova dunque che agli inizi del secolo XII i cittadini hanno già costituito l’associazione volontaria giurata, onde è nato e s’evolve il nuovo ente, e che questo ha ottenuto il riconoscimento, almeno tacito, del vescovo. Esso è ancora infante, ma già pieno di promettente vigore; e già si delinea preciso il territorio del futuro piccolo stato sovrano, in perfetta corrispondenza con la dicitura del suggello trecentesco: SISTILIANU PUBLICA CASTILIR MARE CERTOS DAT MICHI FINES.

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Trieste – Locopositi e Gastaldi


Trieste – Locopositi e Gastaldi

Giulio Bernardi

In un documento del 933, Trieste è rappresentata da un «locoposito», forse designato o eletto dal vescovo. Primo tra gli «scabini» (rappresentanti della cittadinanza), egli forse corrisponde al primate che appare di questi tempi nelle città dalmatiche, però sembra prevalere in lui il carattere di primo rappresentante cittadino. Nel corso del secolo XI, il locoposito perde via via la sua importanza e il titolo si riduce a una qualificazione onorifica ed ereditaria. In sua vece spunta, nel secolo XII, il gastaldo che poco ha a che fare con il gastaldo longobardo o franco, ma invece sembra assumere anche nelle città istriane il posto di primo ufficiale, come magistrato elettivo, facente parte del collegio dei giudici, cioè delle supreme cariche cittadine perpetuanti quelle del municipio romano.
A Trieste il gastaldo, preposto dal vescovo signore della «civitas», riuniva in sé ai poteri amministrativi e giudiziari conferitigli dal vescovo, che egli esercitava in qualità di agente, anche la rappresentanza dei cittadini. A seconda della sua maggiore o minore potenza, la «civitas» designava al vescovo la persona dell’ eleggendo e talvolta addirittura forse lo imponeva.

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Trieste – Gli inizi del Comune


Trieste – Gli inizi del Comune

Giulio Bernardi

Torniamo al diploma di Lotario del 948. Esso segna una data importantissima nella storia, purtroppo lacunosa e oscura, della «civitas» triestina dell’alto medioevo. In pericolo d’esser travolti dal feudalesimo montante che li avrebbe aggregati a potenti principi d’oltralpe, i triestini si strinsero al loro vescovo, da loro stessi eletto e salutarono certo con gioia il privilegio che sottraeva la custodia delle mura, l’esazione delle imposte e dei dazi, l’amministrazione civile e la giudiziaria ad altro signore.
La vecchia classe degli «honorati», detti poi «boni homines et idonei» continua ad esercitare modeste funzioni amministrative, in posizione subalterna, ad esprimere dal suo seno i giudici di prima istanza nel civile, conservando e tramandando tenace il ricordo dell’antico municipio e della sua curia, le consuetudini, il sentimento di solidarietà economica e sociale. L’autorità vescovile non dava loro fastidio, finché il presule era eletto per lo più tra di loro o quantomeno con il loro concorso, ed essi avevano gran parte nel Capitolo e nella curia dei vassalli episcopali, finché, insomma, gli interessi e le persone del pastore, del clero e della classe dominante furono quasi i medesimi.
Ma pare che già Ricolfo (1007-1017) provenisse direttamente dalla chiesa di Eichstaett in Baviera e fosse investito dall’Imperatore. Così i suoi successori Adalgero (1031-1072) e Eriberto (1080-1082). Certo nei secoli XI e XII sempre più i vescovi assunsero il carattere di vassalli diretti dell’Impero. Ne conseguiva la partecipazione a campagne militari e politiche lontane che, stremando in gigantesche competizioni le loro energie e i redditi della diocesi, senza soddisfazione alcuna della città, interessavano solo pochi membri della «curia vassallorum». Ciò avviene in sintonia con la storia del patriarcato di Aquileia, il cui soglio pervenne in mano a famiglie tedesche, legate alla grande politica imperiale germanica, rimanendovi fino all’ elezione del patriarca Gregorio (1251-1269).
Il dissidio tra il vescovo e la cittadinanza si delinea, si acuisce e prende forma.
Destreggiandosi abilmente, i cittadini ottengono via via privilegi e riconoscimenti alla loro collettività, che, in pieno feudalesimo, è ormai un ente di fatto, non tutelato dai pubblici poteri.
In quest’oscuro periodo, nel quale cade il tramonto d’un assetto antico e rimpianto sempre, si formano e si stringono i nuovi interessi e i nuovi vincoli, si foggia e si rassoda la «civitas» novella. E’ peraltro noto che il Comune italiano non fu mai in possesso di tutti gli elementi originari che formavano la sovranità, ma che si appagava di un certo numero più o meno esteso di diritti sovrani, i quali garantivano lo sviluppo di un’ampia autonomia, senza raggiungere l’indipendenza assoluta: la piena sovranità fu conquistata solo tardi, da pochi Comuni e quando già il diritto comunale era in decadenza.
A Trieste già nel X secolo dunque accanto al vescovo signore esisteva una collettività abbastanza forte per essere apprezzata quale cooperatrice e fiancheggiatrice, con voce autorevole nel capitolo e nella curia dei vassalli vescovili. Negli scarsissimi documenti dell’epoca sono menzionati di solito il vescovo, o un suo ufficiale, e i rappresentanti della città.  (G.B.)

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Le Monete di Trieste

 

Le Monete di Trieste

Giulio Bernardi

 

 

La prima Moneta di Trieste

La “monetazione della zecca di Trieste” consta di 22 tipi monetali differenti, coniati tra la fine del dodicesimo e l’inizio del quattordicesimo secolo. Le coniazioni di Friesach, Aquileia, Venezia, le più prossime città che avevano attivi traffici nelle nostre terre, certamente bastavano a rifornire di numerario i nostri mercanti. La monetazione triestina si può quindi considerare, poco più che un’appendice della coeva monetazione dei patriarchi di Aquileia. Perché in questa città allora così piccola (4800 abitanti) si sentì il bisogno di fabbricare moneta propria? Inoltre, la gelosia con cui i vescovi di Trieste conservarono il loro diritto di zecca, il fatto che esso venisse esercitato (dal 1253 al 1257) dal Comune che lo deteneva in pegno, il prolungarsi nel tempo (fino all’inizio del Trecento) della continuità di emissioni, la grande quantità di pezzi emessi che si arguisce dalle numerose varianti di conio, sono elementi che concordano nel dimostrare che la monetazione triestina fu, in ambito locale, economicamente importante. In numerosi documenti dell’epoca troviamo la memoria che, anche dopo che Trieste ebbe moneta propria, qui le monete allogene continuarono a circolare insieme a questa e quasi tutti i ripostigli rinvenuti ne danno conferma. Nell’urna di San Servolo, riaperta in occasione della solenne ricognizione del 1986, sono state trovate monete duecentesche, ma nessuna di esse era triestina.

Trieste Medievale - Denari triestini pubblicati da Ludovico Muratori

Le emissioni monetarie di Aquileia, Trieste, Latisana e Lienz danno l’impressione di essere prodotte dalle stesse mani, certamente con le medesime tecniche. I rapporti politici tra i patriarchi di Aquileia e i vescovi di Trieste non inducono a pensare che, per questi ultimi, si trattasse di imitazioni non autorizzate o illegali. In questo senso certamente non danno spazio a congetture le analisi ponderali e qualitative delle serie parallele. La somiglianza dei tipi fu già osservata dagli studiosi del passato, anche se essi non ne trassero tutte le conseguenze. La fabbricazione delle monete, eseguita da artigiani specializzati riuniti in confraternite, era una cosa distinta dalla loro emissione, che veniva «preconizzata» cioè bandita a viva voce dal «praeconius» nelle pubbliche piazze, per conto dell’autorità. Ponendo attenzione sull’interazione di questi due momenti – fabbricazione ed emissione – ci accorgeremo che è molto probabile che le confraternite di zecchieri avessero una parte determinante nel promuovere le emissioni di monete, nello stesso modo che, oggi, una fabbrica di medaglie stimola i committenti a fare ordinativi per incrementare la sua produzione. Riguardo la monetazione duecentesca della zona che ci interessa, a nordest della Repubblica di Venezia, sappiamo (da documenti coevi e da quelli successivi che possiamo ritenere utili anche per il periodo che consideriamo, che essa non veniva gestita direttamente dall’autorità emittente, bensì era appaltata a confraternite di artigiani. Chi otteneva l’appalto corrispondeva al signore un utile percentuale. Ai fabbricanti venivano però tassativamente imposte le qualità intrinseche e anche quelle artistiche delle monete, sottoposte a regolari e rigorosi controlli. Tutti i problemi relativi all’approvvigionamento del metallo, alla manodopera, all’organizzazione della produzione erano a carico dei fabbricanti. L’autorità emittente ne traeva il vantaggio di poter usare numerario proprio e di avere un immediato controllo sul patrimonio liquido dei sudditi: ciò facilitava o meglio rendeva possibile l’esazione delle tasse. Un consistente vantaggio per il committente era la percentuale del coniato che i fabbricanti erano tenuti a versare al sovrano. Non indifferente era il beneficio legato al prestigio ed alla buona fama che potevano derivare da prodotti di qualità e di gradevole aspetto, adatti a tramandare nei secoli la memoria di un nome e di un sistema politico. Assai più immediato e capitale era l’interesse del fabbricatore, perché dalla decisione del sovrano di emettere monete dipendeva tutta la sua vita economica. È facile dunque immaginare quanto le confraternite di zecchieri si dessero da fare per convincere le massime gerarchie politiche della convenienza di emettere monete. Dove mancava o era debole la potenza economica e politica per imporle e diffonderle in ampie province, era necessario sopperire con la bontà del titolo e la bellezza e l’originalità del conio. È probabilmente questo il caso di Trieste. Il numero complessivo di monete triestine a me note è di poco superiore a 1600 (ho potuto averne le fotografie di 1457). Forse qualche centinaio di esemplari che la mia indagine non ha raggiunto sono ancora sparsi nel mondo. Il totale delle monete superstiti è probabilmente inferiore a duemila pezzi. Il numero dei coni identificati (237 d’incudine e 375 di martello) lascia supporre un volume di produzione complessivo di qualche milione di pezzi. E’ dunque sopravvissuto, dopo sette secoli, meno di un millesimo delle monete emesse. “Scritti sulle monete triestine”. Già nel Seicento gli storici si occuparono di monete medioevali triestine: il canonico Vincenzo Scussa (1620-1702), nella sua «Storia Cronografica di Trieste» del 1697 vi fa cenno. L’anno seguente il carmelitano scalzo Padre Ireneo della Croce (1625-1713), nella sua «Storia di Trieste», scrive di denari triestini, dandone perla prima volta riproduzione grafica. Nell’edizione del 1881, in cui l’opera di Ireneo della Croce venne pubblicata nella suainterezza, leggiamo ancora di denari triestini nel terzo volume. Ludovico Muratori nella sua ventisettesima dissertazione del 1739 (pag. 715-717nell’ edizione del 1774), riportata anche dall’ Argelati (I pag. 95-96) descrive nove denari triestini. Il Padre F. Bernardus M. de Rubeis nella sua prima dissertazione «de Nummis Patriarcharum Aquileiensium» (Venezia 1747, anche in Argelati 1750) pubblica a pag. 101 e sulla tavola 5 un denaro di Volrico (VM), con la nota che si trattava di soldo da dodici piccoli. Giangiuseppe Liruti di Villafredda nella sua dissertazione «Della moneta propria, e forastiera ch’ebbe corso nel Ducato di Friuli dalla decadenza dell’Imperio Romano sino al secoloXV», pubblicata a Venezia nel 1749, e l’anno dopo nel II volume dell’Argelati, dedica il capitolo XXIII (pag. 189) alla Moneta di Trieste.

Nella zecca, i coni della zecca triestina, come quelli di Aquileia, appaiono fabbricati da due categorie di operai: i maestri e gli allievi. I primi si distinguono per esattezza di tutti i particolari, per la particolare grazia e armonia del disegno, per la gradevolezza e la nitidezza dei contorni. I secondi danno l’impressione di minore esattezza, di opera maldestra e frettolosa. Le differenze sono tuttavia assai ridotte perché ambedue le categorie di artisti adoperano, nel fabbricare i coni, gli stessi punzoni che, in certi casi (denaro di Arlongo con Tempio e Santo AT) non si limitano a singoli particolari, ma comprendono intere figure. La somiglianza di ogni particolare con le parallele monete patriarcali conferma la fabbricazione dei coni delle due zecche dalle stesse mani. Come più tardi codificato da Cellini, nella zecca si preferiva fare ricorso, per fabbricare i coni, a punzoni della massima esattezza, piuttosto che al cesello. Si rendevano in questo modo particolarmente difficili le imitazioni, perché a monte della fabbricazione dei coni occorreva tutta un’attrezzatura professionale, sorretta da grande esperienza specifica. Nessun conio fu rimpiazzato finché era ancora integro e adoperabile. Quando, per l’uso, era diventato inutilizzabile, veniva distrutto e sostituito. (G.B.)

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Trieste Medievale – Monetazione della zecca di Trieste – Tavola di denari triestini pubblicata da Bonomo


Tavola di denari triestini pubblicata da Bonomo

Tavola di denari triestini pubblicata da Bonomo

La ” monetazione della zecca di Trieste ” consta di 22 tipi monetali differenti, coniati tra la fine del dodicesimo e l’inizio del quattordicesimo secolo.

Le coniazioni di Friesach, Aquileia, Venezia, le più prossime città che avevano attivi traffici nelle nostre terre, certamente bastavano a rifornire di numerario i nostri mercanti. La monetazione triestina si può quindi considerare, poco più che un’ appendice della coeva monetazione dei patriarchi di Aquileia.

Bibliografia:

Giulio Bernardi – Il Duecento a Trieste, Le Monete. Giulio Bernardi Editore, 1995.

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Trieste Medievale – Denari triestini pubblicati da Ludovico Muratori


Trieste Medievale - Denari triestini pubblicati da Ludovico Muratori

Denari triestini pubblicati da Ludovico Muratori

La ” monetazione della zecca di Trieste ” consta di 22 tipi monetali differenti, coniati tra la fine del dodicesimo e l’inizio del quattordicesimo secolo.

Le coniazioni di Friesach, Aquileia, Venezia, le più prossime città che avevano attivi traffici nelle nostre terre, certamente bastavano a rifornire di numerario i nostri mercanti. La monetazione triestina si può quindi considerare, poco più che un’ appendice della coeva monetazione dei patriarchi di Aquileia.

Bibliografia:

Giulio Bernardi – Il Duecento a Trieste, Le Monete. Giulio Bernardi Editore, 1995.

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Trieste Medievale – Disegno tratto dall’impronta del sigillo comunale del 1369 e dai due tipari conservati al Museo di Trieste.


Disegno tratto dall'impronta del sigillo comunale del 1369 e dai due tipari conservati al Museo di Trieste.

Disegno tratto dall’impronta del sigillo comunale del 1369 e dai due tipari conservati al Museo di Trieste.

La ” monetazione della zecca di Trieste ” consta di 22 tipi monetali differenti, coniati tra la fine del dodicesimo e l’inizio del quattordicesimo secolo.

Le coniazioni di Friesach, Aquileia, Venezia, le più prossime città che avevano attivi traffici nelle nostre terre, certamente bastavano a rifornire di numerario i nostri mercanti. La monetazione triestina si può quindi considerare, poco più che un’ appendice della coeva monetazione dei patriarchi di Aquileia.

Bibliografia:

Giulio Bernardi – Il Duecento a Trieste, Le Monete. Giulio Bernardi Editore, 1995.

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Trieste Medievale – Impronta del sigillo del Comune di Trieste su un documento del 1369


Impronta del sigillo del Comune di Trieste su un documento del 1369

Impronta del sigillo del Comune di Trieste su un documento del 1369

La ” monetazione della zecca di Trieste ” consta di 22 tipi monetali differenti, coniati tra la fine del dodicesimo e l’inizio del quattordicesimo secolo.

Le coniazioni di Friesach, Aquileia, Venezia, le più prossime città che avevano attivi traffici nelle nostre terre, certamente bastavano a rifornire di numerario i nostri mercanti. La monetazione triestina si può quindi considerare, poco più che un’ appendice della coeva monetazione dei patriarchi di Aquileia.

Bibliografia:

Giulio Bernardi – Il Duecento a Trieste, Le Monete. Giulio Bernardi Editore, 1995.

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Trieste Medievale – Impronta del sigillo di Volrico negli Archivi Vaticani


Trieste Medievale - Impronta del sigillo di Volrico negli Archivi Vaticani

Impronta del sigillo di Volrico negli Archivi Vaticani

La ” monetazione della zecca di Trieste ” consta di 22 tipi monetali differenti, coniati tra la fine del dodicesimo e l’inizio del quattordicesimo secolo.

Le coniazioni di Friesach, Aquileia, Venezia, le più prossime città che avevano attivi traffici nelle nostre terre, certamente bastavano a rifornire di numerario i nostri mercanti. La monetazione triestina si può quindi considerare, poco più che un’ appendice della coeva monetazione dei patriarchi di Aquileia.

Bibliografia:

Giulio Bernardi – Il Duecento a Trieste, Le Monete. Giulio Bernardi Editore, 1995.

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Trieste – Sigillo di Volrico pubblicato da Bonomo


Sigillo di Volrico pubblicato da Bonomo

Sigillo di Volrico pubblicato da Bonomo

 

 

 

La ” monetazione della zecca di Trieste ” consta di 22 tipi monetali differenti, coniati tra la fine del dodicesimo e l’inizio del quattordicesimo secolo.

Le coniazioni di Friesach, Aquileia, Venezia, le più prossime città che avevano attivi traffici nelle nostre terre, certamente bastavano a rifornire di numerario i nostri mercanti. La monetazione triestina si può quindi considerare, poco più che un’ appendice della coeva monetazione dei patriarchi di Aquileia.

Bibliografia:

Giulio Bernardi – Il Duecento a Trieste, Le Monete. Giulio Bernardi Editore, 1995.

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Denari triestini pubblicati da Ireneo della Croce


Denari triestini pubblicati da Ireneo della Croce

Denari triestini pubblicati da Ireneo della Croce


Nel 1698, il carmelitano scalzo Padre Ireneo della Croce (1625-1713), al secolo Giovanni Maria Manarutta, nella sua «Storia di Trieste», scrive di denari triestini, dandone per la prima volta riproduzione grafica. A pag. 94 sono riprodotti 6 denari (LT, AT, L, T, AL, AC, C), a pag. 95 altri 3 (GA, VA, AS) a pag. 646 ancora 3 (T, AT e ancora una volta il T, in una trasfigurazione fantasiosa). In tutto 9 tipi differenti.

La ” monetazione della zecca di Trieste ” consta di 22 tipi monetali differenti, coniati tra la fine del dodicesimo e l’inizio del quattordicesimo secolo.

Le coniazioni di Friesach, Aquileia, Venezia, le più prossime città che avevano attivi traffici nelle nostre terre, certamente bastavano a rifornire di numerario i nostri mercanti. La monetazione triestina si può quindi considerare, poco più che un’ appendice della coeva monetazione dei patriarchi di Aquileia.

Bibliografia:

Giulio Bernardi – Il Duecento a Trieste, Le Monete. Giulio Bernardi Editore, 1995.

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Monetazione della zecca di Trieste – La prima moneta di Trieste


La prima Moneta di Trieste

La prima moneta di Trieste


Questa moneta anonima ricalca il tipo di Aquileia attribuito a Pellegrino II, del 1195. Vescovo di Trieste era allora Wolcango, eletto nel 1190, confermato il 1° giugno 1192 da papa Celestino III, riconfermato il 23 giugno 1192 dal patriarca Gotifredo, morto infine il 26 maggio 1199.

Dritto: Vescovo seduto di fronte con pastorale nella destra e libro chiuso nella sinistra. La sua mitra ha un corno a sinistra. Iscrizione: +TRIES.E PISCOPi
Rovescio: Tempio a cinque colonne, contorno perlinato. 
Pesi tra 1.08 e 1.29 grammi 
Collezione Giulio Bernardi.La " monetazione della zecca di Trieste " consta di 22 tipi monetali differenti, coniati tra la fine del dodicesimo e l'inizio del quattordicesimo secolo.

Le coniazioni di Friesach, Aquileia, Venezia, le più prossime città che avevano attivi traffici nelle nostre terre, certamente bastavano a rifornire di numerario i nostri mercanti. La monetazione triestina si può quindi considerare, poco più che un’ appendice della coeva monetazione dei patriarchi di Aquileia.

Bibliografia:

Giulio Bernardi – Il Duecento a Trieste, Le Monete. Giulio Bernardi Editore, 1995.

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La monetazione della zecca di Trieste


 

Le monete di Trieste

Confronto tra un denaro aquileiese e uno triestino (Bonomo)

 

La ” monetazione della zecca di Trieste ” consta di 22 tipi monetali differenti, coniati tra la fine del dodicesimo e l’inizio del quattordicesimo secolo.

Le coniazioni di Friesach, Aquileia, Venezia, le più prossime città che avevano attivi traffici nelle nostre terre, certamente bastavano a rifornire di numerario i nostri mercanti. La monetazione triestina si può quindi considerare, poco più che un’ appendice della coeva monetazione dei patriarchi di Aquileia.

 

Bibliografia:

Giulio Bernardi – Il Duecento a Trieste, Le Monete. Giulio Bernardi Editore, 1995.

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