Trieste nell’Ottocento – Alessandra Doratti


Trieste nell’Ottocento – Alessandra Doratti 

Nel primo Ottocento la città conta ormai 65.000 abitanti, compresi i 5.000 contadini che gravitano nei dintorni e che giornalmente si riversano in città per vendere verdure, frutta e ortaggi e per procacciarsi il sostentamento quotidiano. Alcuni sono piccoli proprietari terrieri, altri affittuari o semplicemente braccianti delle campagne e sono chiamati con il nome generico di mandrieri. Essi si distinguono per il pittoresco costume che portano (i giovani formano un corpo militare speciale detto Milizia Territoriale) con la giubba corta e bordata di vario colore, grossi bottoni di metallo, calzettoni bianchi e scarpe con fibbia. Hanno il moschetto ed il loro ornamento più bello è un capello in feltro a larga tesa alla guisa dei Lanzichenecchi.

Nei sobborghi cerimonie fastose

Anche le donne del contado si presentano piacevolmente con la testa avvolta di bianco, come le donne della Carniola, però al posto dell’usuale cuffia imbottita si sostituisce un leggero fazzoletto. Le maniche della camicia sono di fine lana bianca e le calzature sono degli stivaletti di pelle nera fortemente chiodati sia nella suola che nel tacco. La gente è abbastanza alta, con un bel volto e, a differenza di come si parla in città, usa il dialetto sloveno.


Molto pittoresche nella campagna sono le cerimonie nuziali: già parecchi giorni prima delle nozze viene mobilitato l’intero vicinato dai paraninfi (coloro che con bastoni fioriti e nastri bussano alle porte di amici e parenti per partecipare l’invito a nozze). La sposa in abito nuziale fa il giro delle case dei parenti già due giorni prima: essa ha il corpetto scuro o rosso, le maniche e il copricapo bianchi e finemente ricamati e la gonna ricca di nastri, infine una corona di fiori e nastri intrecciati. La musica e i banchetti accompagnano sempre i matrimoni e così anche i doni in denaro che vengono messi durante la cerimonia in un dolce a ciambella detto buzzolà. Anche i più poveri festeggiano l’evento con banchetti meno ricchi, ma nei quali il vino non manca mai. In città le spose usano coprire il capo con un velo bianco e i viaggi di nozze non sono ancora molto di moda. Nel 1833 un panorama della città mostra il borgo teresiano ormai completato: esso ha inizio nella contrada del Canal Piccolo e prosegue per piazza della Borsa e lungo la contrada del Corso fino a piazza della Legna (ora piazza Goldoni).

 
Nasce il centro moderno

Da qui i confini si spiegano lungo il torrente che scorre a cielo aperto, proveniente dalla Stranga vecchia (piazza Garibaldi), attraversato da sette ponti e che giunge fino alla caserma. Qui una contrada fiancheggia il canale che, dopo un tratto coperto, si riapre nell’attuale via Ghega. Due dei ponti principali sono uno sulla contrada della Wauxhall (via Roma) e l’altro sulla contrada del Ponte Nuovo (via Trento).
Sorge una casa pubblica di beneficenza (Pio Istituto dei Poveri) e dalla piazza del Macello si dà inizio alla contrada del Lazzaretto nuovo che prosegue fino al torrente Roiano. La strada è fiancheggiata da un porticato aperto verso il mare dove vi è la corderia Bozzini. Lo strano nome della contrada Wauxhall deriva da un caffè concerto fondato nel 1786 in via Ghega, nella casa fronteggiante la contrada che porta questo nome. La contrada della Jeppa (Geppa) si forma là dove il corso d’acqua delle saline è ormai scomparso. In via Galatti sorge la contrada della Pesa e nel centro dell’odierna piazza Vittorio Veneto vi è una fontana che funge da abbeveratoio per quadrupedi. La Posta è sistemata nella contrada della Caserma (via XXX Ottobre), ma prima si trovava all’imbocco del Canal Grande; perciò esiste ora anche una riva delle Poste (via Rossini). Dietro alla Dogana si apre il quartiere Panfili e tra di loro c’è un grande spazio detto contrada dei Carradori (via Trento). La contrada della Dogana sormonta il Canal Grande e arriva fino al Corso passando per Ponterosso, mentre via Filzi è denominata contrada per Vienna.
Le vie longitudinali sono: la contrada del Balderin (via Valdirivo), la contrada di Carinzia (via Torrebianca), la contrada dei Forni (via Macchiavelli), la contrada del Canal Grande (via Cassa di Risparmio), la lunga contrada Nuova (via Mazzini) che va da piazza della Legna al mare, e la contrada S. Nicolò. In corrispondenza della contrada di Vienna ha inizio la nuova strada commerciale. In fondo al canale, nel 1849 verrà consacrata la nuova chiesa di S. Antonio Taumaturgo, patrono del borgo teresiano. In contrada S. Spiridione sorge la chiesa degli Illirici (serbo-ortodossi). Il campanile di destra dà nome alla contrada del Campanile, ora via Genova alta, che manterrà tale nome anche quando si procederà alla demolizione dell’opera per difetti fondazionali.

Ponterosso come la Concorde

Nella piazza Ponterosso sorge una fontana a tre bocche, è alimentata dall’acquedotto teresiano. La riva Carciotti prende il nome dal palazzo omonimo, opera prestigiosa del triestino Matteo Pertsch. Più in là il tempio greco-ortodosso costruito nel 1786 ed abbellito poi nel 1819 sempre da Pertsch in forme classiche. La contrada laterale era detta dei Bottai per le numerose botteghe dei bottai, che dopo la costruzione della chiesa si chiamerà S. Nicolò.
Sta sorgendo inoltre il nuovo borgo franceschino tra la contrada del Corono e quella del Molin Grande che corre al fianco del ruscello proveniente da S. Giovanni. La parte superiore è tagliata dalla contrada del Ronco, mentre sulla contrada del Coroneo è stato allestito un nuovo pubblico lavatoio e un orto botanico.
Sulla passeggiata dell’Acquedotto (viale XX Settembre) nuovi edifici sorgono nel borgo Chiozza e nella via Chiozza (via Crispi), terreno donato al Comune da Carlo Luigi Chiozza, genovese che aveva un saponificio nei pressi del Ponterosso. Parallele alla spina centrale della contrada Chiozza corrono le contrade del Farneto (via Ginnastica) e quella del Boschetto (via Slataper), al di là vi è l’aperta campagna e il terreno della famiglia Conti sul quale nel 1833 sorgerà l’ospedale Maggiore, progettato da Domenico Corti. Il borgo Maurizio si estende dalla contrada del Tintore (via Tarabocchia) a quella del Solitario (via Foschiatti), che raccoglie diverse piccole industrie: dalla fabbrica della maiolica, alla concia dei pellami, e alla fonderia. Anche la zona della Stranga Vecchia si va arricchendo di numerosi edifici.
Intorno al Mandracchio ci sono il nuovo teatro comunale e la Borsa, il palazzo governatoriale, residenza dal 1776 del primo governatore di Trieste, il conte Zinzendorf.
La piazza Grande è ora più larga con la porta sul Mandracchio, attraverso la quale i triestini nelle afose sere estive vanno a prendere il fresco sul lungomare. Sulla piazza dello Squero vecchio, dove sorgeva la Confraternita di S. Nicolò è stato trasferito il mercato del pesce che durerà sino al 1878, e poi si sposterà tra la via della Stazione e la riva del Sale, fintantoché nel 1913 verrà eretto l’attuale edificio a forma di chiesa detto S. Maria del Guato. Una doppia fila di belle ed eleganti case è sorta anche in piazza Giuseppina (piazza Venezia), molto alte e massicce intervallate dalla contrada della Sanità Nuova (via Cadorna). La riva del Lazzaretto vecchio (via Diaz) prosegue verso lo stabilimento contumaciale.

In periferia ancora contrasti

Le zone periferiche di Chiarbola sono ampiamente coltivate a vigneti, frutteti, giardini e orti; vi è qualche grossa villa padronale e alcune case rurali. Tra i monumenti più notevoli vi è la villa di Campo Marzio, meglio conosciuta con il nome di Villa Murat, per essere passata in possesso alla vedova del re di Napoli. La villa venne demolita ai giorni nostri per dar spazio ad una pileria di riso che venne poi abbandonata e bruciata. Un’altra famosa villa è quella di Giovanni Risnich nell’attuale piazza Carlo Alberto, demolita per far spazio alla via Franca.
L’edificio di Anna Voinovich sta sul primo passeggio di S. Andrea e guarda dall’alto della costa la spiaggia sottostante. La stupenda costruzione dell’architetto francese Champion è la villa di Girolamo Bonaparte (villa Necker). Sul colle, alla fine della contrada della Sanza sta la Villa Economo, abbellita da quattro colonne e un timpano. Sotto la Sanza di S. Vito le ville Budigna e de Dolcetti.
È questa la zona dove i ricchi vanno a villeggiare e i poveri coltivano gli orti e i vigneti che si allineano floridi nei dintorni.

2 commenti su “Trieste nell’Ottocento – Alessandra Doratti”

    1. Verissimo, correggeremo. Carolina Murat soggiornava difatti con il nome di Contessa Lipona anagramma di Napoli.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *