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Ferruccio Crovatto, primi anni ’50
Post di Livio Crovatto
Iniziò a fotografare negli anni cinquanta, ottenendo da subito numerosi riconoscimenti nazionali ed internazionali. La Federazione Nazionale Associazioni Fotografiche lo insignì del titolo di AFIAP nel 1958.
Fotografo introverso e solitario, trovò nell’immagine la possibilità di esternare la sua grande sensibilità e la profonda capacità tecnica. Il Circolo Fotografico Triestino lo annovera tuttora tra i suoi Soci maggiormente rappresentativi, anche ora che è scomparso da diversi anni.
Il figlio Livio scrive:
Mio padre attraverso le sue fotografie
“Che la fotografia sia un occhio – talora fedele, talora deformante ma comunque sempre attento e vigile – sulla realtà, è un’opinione acquisita e confermata. Ma che si possa trovare in quest’arte un’altra componente, di fascino non minore, ossia la capacità di informarci riguardo al carattere ed alle qualità umane di chi si mette dietro al mirino, me ne convinco sempre di più osservando i lavori di mio padre. Parlando da quasi profano, fotografo semi dilettante quale sono stato e sono tuttora (non sempre, purtroppo, il frutto “non cade lontano dall’albero”) – disattento quindi verso le componenti tecniche e quegli aspetti formali che altri sono interessatissimi a cogliere, rimango spesso suggestionato nel vedere come certi suoi ritratti – parte preponderante nell’opera di mio padre – vadano a delineare l’aspetto essenziale di una psicologia, di una situazione, di uno stato d’animo. Che si tratti di un bambino intento al gioco, di un adulto sorpreso nelle sue attività quotidiane, di un anziano perso nelle sue malinconie e nei suoi pensieri, intravedo in queste immagini quella che era una sua caratteristica umana tutta particolare e che ce lo rendeva così caro e importante: la capacità immediata di capire i problemi, di definire i caratteri, di partecipare con interesse anche alle piccole cose, trattandovi sempre delle suggestioni che poi trasmetteva con sagacia e chiarezza infallibili. Capacità preziose soprattutto per me bambino, poi ragazzo, sempre tanto curioso di sapere e di giudicare le cose. Ci sono dei discorsi che “fotografano bene” una sitauazione, si dice… Non potremmo forse dire allo stesso modo che ci sono delle fotografie che sono “dei bei discorsi”? Io mi azzardo a farlo e a tanti anni ormai dalla scomparsa di mio padre, grazie a questo mi pare che ci sia un dialogo con lui che continua ancora e che sempre continuerà.”
Ferruccio Crovatto nasce a Trieste il 14 marzo 1920, da genitori provenienti dalla Dalmazia. Dopo il diploma in ragioneria presso l’istituto tecnico “G. R. Carli” si iscrive alla Facoltà di Economia e Commercio, ma ben presto deve interrompere gli studi in quanto chiamato sotto le armi in occasione della Campagna di Grecia. Quivi rimase fino all’armistizio dell’8 settembre 1943, dopo il quale alterne vicissitudini lo portarono prima in un campo di prigionia tedesco, in Germana, poi in uno inglese in India. Ritornato in Italia alla fine del conflitto, vinse un concorso per entrare in banca, al Credito Italiano. In seguito a ciò andò a lavorare per un paio d’anni a Reggio Emilia, città in cui trovò degli amici che gli trasmisero la passione per la fotografia. Rientrò poi a Trieste, ove fu impiegato nella storica filiale di Piazza della Borsa per più di trent’anni, fino al pensionamento avvenuto nel 1984. Venne a mancare pochi anni dopo, il 20 giugno 1989, in seguito ai traumi riportati in un incidente stradale, avvenuto in Istria tre mesi prima, nel corso di quella che sarebbe stata la sua ultima gita fotografica.
Le prime foto. Fra quelle conservate, risalgono al 1951/52 – non sempre annotava luoghi e date delle riprese – e già nel 1958 era membro della FIAP, ossia la federazione internazionale degli artisti fotografici, mentre gia da alcuni anni si era associato al Circolo Fotografico Triestino, di cui sarebbe diventato negli anni a venire uno dei membri più rappresentativi. Nel contempo cominciò a pubblicare foto su giornali e riviste specializzate, affermandosi anche in vari concorsi, in Italia e all’estero.
Al periodo tra la metà degli anni ’50 e quella dei ’70 risalgono le sue serie fotografiche più note e caratterizzanti: i bimbi ciechi dell’istituto Rittmeyer, i musicisti jazz al castello di San Giusto, gli artisti circensi, i vetrai di Murano, le merlettaie e i pescatori di Burano e molte altre ancora.
I soggetti più ricorrenti nelle sue opere sono da una parte gli anziani, dall’altra i bambini spesso interrelati e colti con semplicità nei momenti di riflessione e di svago. E poi i lavoratori, specie artigiani e pescatori, impegnati nelle loro occupazioni, visti con occhio partecipe ma alieno da ogni sentimentalismo di maniera.
Gli ambienti suoi privilegiati sono sempre stati quelli rurali e agresti del Carso e dell’Istria, nonché il paesaggio della laguna di Grado-Marano e quella di Venezia (Burano e Pellestrina in primis), della quale, in particolare, seppe cogliere con maestria le magiche suggestioni.
I sentimenti che predominano sono quelli degli affetti e dei rapporti familiari, le malinconie e le gioie delle piccole cose e delle situazioni comuni, mollo spesso l’umorismo e il surrealismo insito in certe scene della vita quotidiana.
(Testo di Livio Crovatto)