A seguito della conquista romana (II secolo a.C.), l’antica Tergeste iniziò a sviluppandosi progressivamente acquisendo una fisionomia urbana che raggiunse la sua massima espansione durante l’impero di Traiano, con una popolazione che, secondo lo storico P. Kandler, doveva contare 12.000 abitanti.
I fatti che precedono l’invasione romana del territorio ricordano gli Istri e la loro alleanza con Demetrio di Faro (Lèsina) contro Roma, che condusse ad una prima azione militare da parte dei romani (220 a.C.). Non si hanno notizie se a questa battaglia, nelle file degli Istri, abbiano partecipato anche gli abitanti dell’antica Tergeste.
Nel 183 a.C., Roma iniziò una guerra contro gli Istri, giustificata sia dagli interessi geografico-economici, sia dal fatto che essi erano da sempre alleati dei loro nemici e costituivano una costante minaccia alla sicurezza dei territori conquistati. La guerra del 183 fu interrotta per ragioni politiche, ma le ostilità ripresero due anni più tardi quando gli Istri cercarono di ostacolare la costituzione della colonia aquileiense. I tergestini allora erano governati dal re degli Istri Aipulone o Epulone — regulus Aepulo, ci dice Tito Livio.
Nel 178, il console Manlio Vulsone mosse, da Aquileia, alla conquista dell’Istria e dei confini orientali, inviando la flotta del duumviro Furio «nel prossimo porto dell’Istria», (quindi, o nell’insenatura di Servola o nel vallone di Zaule). E’ possibile che l’esercito di Manlio Vulsone si sia portato nei pressi di Basovizza, dato che nel vicino monte Grociana ci sono i resti di un forte castelliere istriano. Il Marchesetti propone invece l’attendamento romano tra Montebello e Cattinara, ove spesso vengono rinvenuti cocci romani e dove minore è la distanza dal mare e dalla flotta navale. La battaglia che ne seguì vide dapprima la seconda legione del pretore Strabone sconfitta e rigettata sino al mare. Gli Istri sferrarono il loro attacco la mattina presto, quando era ancora buio, gettando nel panico la massa dei soldati romani che, colti di sorpresa, si mise in fuga. Rimasero nel campo solo 600 uomini, il pretore e gli ufficiali, che vennero travolti e trucidati. Gli Istri, dopo la vittoria, avendo trovato nel campo viveri e vino, si misero a banchettare e a ubriacarsi. Questo consentì ai Romani di riorganizzarsi e di sferrare un micidiale contrattacco dopo qualche ora; gli Istri sopravissuti si ritirarono disperdendosi nei vari villaggi.
Nei territori conquistati vennero lasciati presidii d’occupazione e le legioni rientrarono a svernare ad Aquileia, in attesa della nuova campagna di primavera.
L’anno seguente (177 a.C.), i consoli Manlio Vulsone e Giunio Bruto, successivamente sostituiti dal console Appio Claudio Pulcro, portarono le truppe nell’Istria fino a Nesazio, l’attuale località di Altura (in croato Valtura) e di Monticchio (in croato Muntić), nell’Istria meridionale. Gli scavi archeologici, iniziati da Pietro Candler sul finire del XIX secolo, hanno messo in luce un castelliere con annessa necropoli, precedente a Nesazio, il maggiore centro e capitale degli Istri. Nesazio, assieme a Mutila e Faveria fu una delle ultime sacche di resistenza alla conquista romana e sopportò un lungo assedio prima d’essere espugnata e saccheggiata. Il re Epulone e l’intera sua corte, come buona parte della residua popolazione, si diedero la morte prima dell’entrata delle truppe romane per non cadere in schiavitù. La vicenda è narrata nel “De Bello Histrico” (opera perduta) e ci viene riportata da Ennio nei suoi Annales e da Livio nel Ab Urbe condita.
Nesazio, dopo la conquista, divenne un castrum romano, in seguito, tornata a fiorire, un municipium autonomo, seconda per importanza solo alla vicina città di Pola, che i romani vollero erigere a principale centro della penisola.
Della Trieste romana è possibile una ricostruzione storica e geografica grazie ai numerosi resti e reperti archeologici venuti alla luce, dal Colle di San Giusto fino al mare.
Sul Colle si trovano i ” Templi “, dedicati a Giove e Atena (alcune strutture architettoniche sono nelle fondamenta della Cattedrale) e la ” Basilica Paleocristiana “, edificata fra il IV e il V secolo. Un importante monumento è l” Arco di Riccardo “, antica porta cittadina o forse ingresso monumentale ad un tempio, risalente alla seconda metà del I secolo a.C., alto m. 7,20 e largo m. 5,30, con una certa sproporzione fra la luce e l’altezza.
Durante gli scavi del 1909-1912 per le fondamenta del Palazzo Greinitz (documentati dalle foto di Pietro Opiglia) in via Santa Caterina, venne alla luce un edificio con funzione di culto composto da un recinto quadrilatero al cui interno si ergeva un piccolo tempio con pronao a quattro colonne: il ” Tempio della Bona Dea ” (divinità romana, nume salutare e di fecondità), risalente ai primi anni dell’Impero e in uso fino al IV secolo dopo Cristo; nell’estate del 1913 durante la demolizione di alcune case nella piazzetta di Riccardo, atte alla liberazione dell’Arco, emerse un ampio complesso di costruzioni disposte su più livelli, tra le quali lo Sticotti individuò, in base a testimonianze epigrafiche e in relazione con il preesistente Arco di Riccardo (monumento di impianto augusteo), un tempio dedicato alla Dea Cibele o Mater Magna, risalente al primo quarto del I sec. d.C.; dagli scavi di via Bramante, iniziati nel 1907, emersero una serie di monete del I secolo d.C. e un complesso romano lungo la via per l’Istria, costituito da un insieme di stabili adibiti ad usi artigianali, tra cui forse una bottega di fabbro, una panetteria con un piccolo forno, un pozzo, una latrina con canale di scarico e una serie di tombe a inumazione di epoca tarda, sovrapposte ai resti degli edifici; i reperti nella zona di Crosada emersi durante gli scavi per il “progetto Urban” e i più recenti scavi per il Park San Giusto, da cui sono venuti alla luce resti archeologici risalenti alla fine del I° secolo a.C., quali strutture murarie, sistemi di terrazzamento e di scorrimento delle acque con un sistema di drenaggio articolato attraverso anfore capovolte, assieme a resti di edifici altomedievali e trecenteschi collegati da pastini.
Il ” Teatro “, risalente alla fine del I secolo a.C. (ampliato sotto Traiano) e che a quei tempi si affacciava direttamente sul mare, è certamente la testimonianza più suggestiva dell’antica Tergeste.
Nel passato sono stati rinvenuti resti di ville, erette nel I e II secolo d.C., a Barcola, Grignano e altre località della costa. Il porto romano era situato in zona Campo Marzio, con una serie di scali di più modeste dimensioni lungo il litorale: sotto San Vito, a Grignano, a Santa Croce, ecc.. Due acquedotti alimentavano la città, quello di Bagnoli e quello di San Giovanni di Guardiella.
In un primo tempo si pensava che la Tergeste romana fosse sorta sul colle di San Giusto, in un’area che offrisse riparo dal vento, ma nel 2013, grazie a un radar ottico chiamato lidar (light detection and ranging), montato su un aeroplano, e a un georadar per lo studio del paesaggio, sono emersi dei nuovi insediamenti situati tra Montedoro e la baia di Muggia, porto naturale. La scoperta, che ha portato alla luce un accampamento romano con due castrum minori risalenti al 180 a.C., si deve all’archeologo Federico Bernardini dell’Istituto Internazionale di Fisica Teoretica Abdus Salam di Trieste e del Museo Storico della Fisica e Centro di Studi e Ricerche Enrico Fermi a Roma. Annunciata sulla rivista dell’Accademia di Scienze degli Stati Uniti (Pnas), il ritrovamento avrebbe quindi portato alla luce la “prima”Tergeste romana.