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S. Giusto v’ha una pittura a fresco, che ci presenta la Trieste del Trecento.
L’artista esegui quella prospettiva con molta verità; ne fanno testimonianza alcuni particolari architettonici e decorativi, ch’egli ha copiati e che si trovano ancora in essere, al loro posto primitivo; segnò per esempio gli stipiti della porta maggiore della cattedrale con le otto incavature in cui si trovano i busti della famiglia Barbia, ed indicò al disopra della porta del campanile la statua del patrono, che ancora oggi vi campeggia sotto a un baldacchino, e che prima della riunione delle due chiese stava sulla facciata del sacello. Le vedute di Trieste fatte posteriormente, una da un pittore murale, la seconda da Benedetto Carpaccio nel 1540, e la terza da Prospero Petronio in sulla fine del secolo XVII, provano che se la città subì dopo le guerre con Venezia, ed anche più tardi, alcune modificazioni, non ne andò per questo alterato l’antico scheletro, reso con molta esattezza ed evidenza dall’ignoto frescante. In queste vedute le mura figurano rinforzate internamente, per maggior saldezza, dagli archivolti che reggono i ballatoi o il girone. Le torri, provvedute di balestriere, hanno, come quelle di Pirano, l’aspetto di una semplice camicia di pietra, a due ripiani, detti solai o battagliere. Quella delle Beccherie era munita di caditoia, da cui si gettavano sugli assalitori pietre, tizzoni ed anche sabbia e polvere di calce per accecarli.
(Giuseppe Caprin “Il Trecento a Trieste”, Trieste 1897).