TRIESTE – Grandi affari in Ponterosso, anni ’70

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Rievocazione storica del Palio delle Tredici Casade. Anni ’70

Foto: Ferruccio Crovatto
Post di Livio Crovatto

Ferruccio Crovatto nasce a Trieste il 14 marzo 1920, da genitori provenienti dalla Dalmazia. Dopo il diploma in ragioneria presso l’istituto tecnico “G. R. Carli” si iscrive alla Facoltà di Economia e Commercio, ma ben presto deve interrompere gli studi in quanto chiamato sotto le armi in occasione della Campagna di Grecia. Quivi rimase fino all’armistizio dell’8 settembre 1943, dopo il quale alterne vicissitudini lo portarono prima in un campo di prigionia tedesco, in Germana, poi in uno inglese in India. Ritornato in Italia alla fine del conflitto, vinse un concorso per entrare in banca, al Credito Italiano. In seguito a ciò andò a lavorare per un paio d’anni a Reggio Emilia, città in cui trovò degli amici che gli trasmisero la passione per la fotografia. Rientrò poi a Trieste, ove fu impiegato nella storica filiale di Piazza della Borsa per più di trent’anni, fino al pensionamento avvenuto nel 1984. Venne a mancare pochi anni dopo, il 20 giugno 1989, in seguito ai traumi riportati in un incidente stradale, avvenuto in Istria tre mesi prima, nel corso di quella che sarebbe stata la sua ultima gita fotografica.

Le prime foto. Fra quelle conservate, risalgono al 1951/52 – non sempre annotava luoghi e date delle riprese – e già nel 1958 era membro della FIAP, ossia la federazione internazionale degli artisti fotografici, mentre gia da alcuni anni si era associato al Circolo Fotografico Triestino, di cui sarebbe diventato negli anni a venire uno dei membri più rappresentativi. Nel contempo cominciò a pubblicare foto su giornali e riviste specializzate, affermandosi anche in vari concorsi, in Italia e all’estero.

Al periodo tra la metà degli anni ’50 e quella dei ’70 risalgono le sue serie fotografiche più note e caratterizzanti: i bimbi ciechi dell’istituto Rittmeyer, i musicisti jazz al castello di San Giusto, gli artisti circensi, i vetrai di Murano, le merlettaie e i pescatori di Burano e molte altre ancora.

I soggetti più ricorrenti nelle sue opere sono da una parte gli anziani, dall’altra i bambini spesso interrelati e colti con semplicità nei momenti di riflessione e di svago. E poi i lavoratori, specie artigiani e pescatori, impegnati nelle loro occupazioni, visti con occhio partecipe ma alieno da ogni sentimentalismo di maniera.

Gli ambienti suoi privilegiati sono sempre stati quelli rurali e agresti del Carso e dell’Istria, nonché il paesaggio della laguna di Grado-Marano e quella di Venezia (Burano e Pellestrina in primis), della quale, in particolare, seppe cogliere con maestria le magiche suggestioni.

I sentimenti che predominano sono quelli degli affetti e dei rapporti familiari, le malinconie e le gioie delle piccole cose e delle situazioni comuni, mollo spesso l’umorismo e il surrealismo insito in certe scene della vita quotidiana.

(Testo di Livio Crovatto)

TRIESTE – La bella fiera di San Nicolò d’una volta, anni ’70

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La bella fiera di San Nicolò d’una volta, anni ’70

Foto: Ferruccio Crovatto
Post di Livio Crovatto

Ferruccio Crovatto nasce a Trieste il 14 marzo 1920, da genitori provenienti dalla Dalmazia. Dopo il diploma in ragioneria presso l’istituto tecnico “G. R. Carli” si iscrive alla Facoltà di Economia e Commercio, ma ben presto deve interrompere gli studi in quanto chiamato sotto le armi in occasione della Campagna di Grecia. Quivi rimase fino all’armistizio dell’8 settembre 1943, dopo il quale alterne vicissitudini lo portarono prima in un campo di prigionia tedesco, in Germana, poi in uno inglese in India. Ritornato in Italia alla fine del conflitto, vinse un concorso per entrare in banca, al Credito Italiano. In seguito a ciò andò a lavorare per un paio d’anni a Reggio Emilia, città in cui trovò degli amici che gli trasmisero la passione per la fotografia. Rientrò poi a Trieste, ove fu impiegato nella storica filiale di Piazza della Borsa per più di trent’anni, fino al pensionamento avvenuto nel 1984. Venne a mancare pochi anni dopo, il 20 giugno 1989, in seguito ai traumi riportati in un incidente stradale, avvenuto in Istria tre mesi prima, nel corso di quella che sarebbe stata la sua ultima gita fotografica.

Le prime foto. Fra quelle conservate, risalgono al 1951/52 – non sempre annotava luoghi e date delle riprese – e già nel 1958 era membro della FIAP, ossia la federazione internazionale degli artisti fotografici, mentre gia da alcuni anni si era associato al Circolo Fotografico Triestino, di cui sarebbe diventato negli anni a venire uno dei membri più rappresentativi. Nel contempo cominciò a pubblicare foto su giornali e riviste specializzate, affermandosi anche in vari concorsi, in Italia e all’estero.

Al periodo tra la metà degli anni ’50 e quella dei ’70 risalgono le sue serie fotografiche più note e caratterizzanti: i bimbi ciechi dell’istituto Rittmeyer, i musicisti jazz al castello di San Giusto, gli artisti circensi, i vetrai di Murano, le merlettaie e i pescatori di Burano e molte altre ancora.

I soggetti più ricorrenti nelle sue opere sono da una parte gli anziani, dall’altra i bambini spesso interrelati e colti con semplicità nei momenti di riflessione e di svago. E poi i lavoratori, specie artigiani e pescatori, impegnati nelle loro occupazioni, visti con occhio partecipe ma alieno da ogni sentimentalismo di maniera.

Gli ambienti suoi privilegiati sono sempre stati quelli rurali e agresti del Carso e dell’Istria, nonché il paesaggio della laguna di Grado-Marano e quella di Venezia (Burano e Pellestrina in primis), della quale, in particolare, seppe cogliere con maestria le magiche suggestioni.

I sentimenti che predominano sono quelli degli affetti e dei rapporti familiari, le malinconie e le gioie delle piccole cose e delle situazioni comuni, mollo spesso l’umorismo e il surrealismo insito in certe scene della vita quotidiana.

(Testo di Livio Crovatto)

TRIESTE via Madonnina, anni ’70/’80

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Via Madonnina, anni ’70/’80

Foto: Ferruccio Crovatto
Post di Livio Crovatto

Ferruccio Crovatto nasce a Trieste il 14 marzo 1920, da genitori provenienti dalla Dalmazia. Dopo il diploma in ragioneria presso l’istituto tecnico “G. R. Carli” si iscrive alla Facoltà di Economia e Commercio, ma ben presto deve interrompere gli studi in quanto chiamato sotto le armi in occasione della Campagna di Grecia. Quivi rimase fino all’armistizio dell’8 settembre 1943, dopo il quale alterne vicissitudini lo portarono prima in un campo di prigionia tedesco, in Germana, poi in uno inglese in India. Ritornato in Italia alla fine del conflitto, vinse un concorso per entrare in banca, al Credito Italiano. In seguito a ciò andò a lavorare per un paio d’anni a Reggio Emilia, città in cui trovò degli amici che gli trasmisero la passione per la fotografia. Rientrò poi a Trieste, ove fu impiegato nella storica filiale di Piazza della Borsa per più di trent’anni, fino al pensionamento avvenuto nel 1984. Venne a mancare pochi anni dopo, il 20 giugno 1989, in seguito ai traumi riportati in un incidente stradale, avvenuto in Istria tre mesi prima, nel corso di quella che sarebbe stata la sua ultima gita fotografica.

Le prime foto. Fra quelle conservate, risalgono al 1951/52 – non sempre annotava luoghi e date delle riprese – e già nel 1958 era membro della FIAP, ossia la federazione internazionale degli artisti fotografici, mentre gia da alcuni anni si era associato al Circolo Fotografico Triestino, di cui sarebbe diventato negli anni a venire uno dei membri più rappresentativi. Nel contempo cominciò a pubblicare foto su giornali e riviste specializzate, affermandosi anche in vari concorsi, in Italia e all’estero.

Al periodo tra la metà degli anni ’50 e quella dei ’70 risalgono le sue serie fotografiche più note e caratterizzanti: i bimbi ciechi dell’istituto Rittmeyer, i musicisti jazz al castello di San Giusto, gli artisti circensi, i vetrai di Murano, le merlettaie e i pescatori di Burano e molte altre ancora.

I soggetti più ricorrenti nelle sue opere sono da una parte gli anziani, dall’altra i bambini spesso interrelati e colti con semplicità nei momenti di riflessione e di svago. E poi i lavoratori, specie artigiani e pescatori, impegnati nelle loro occupazioni, visti con occhio partecipe ma alieno da ogni sentimentalismo di maniera.

Gli ambienti suoi privilegiati sono sempre stati quelli rurali e agresti del Carso e dell’Istria, nonché il paesaggio della laguna di Grado-Marano e quella di Venezia (Burano e Pellestrina in primis), della quale, in particolare, seppe cogliere con maestria le magiche suggestioni.

I sentimenti che predominano sono quelli degli affetti e dei rapporti familiari, le malinconie e le gioie delle piccole cose e delle situazioni comuni, mollo spesso l’umorismo e il surrealismo insito in certe scene della vita quotidiana.

(Testo di Livio Crovatto)

TRIESTE – Via della Rotonda, ai tempi del cinema Radio

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Via della Rotonda, ai tempi del cinema Radio
Foto: Ferruccio Crovatto
Post di Livio Crovatto

Ferruccio Crovatto nasce a Trieste il 14 marzo 1920, da genitori provenienti dalla Dalmazia. Dopo il diploma in ragioneria presso l’istituto tecnico “G. R. Carli” si iscrive alla Facoltà di Economia e Commercio, ma ben presto deve interrompere gli studi in quanto chiamato sotto le armi in occasione della Campagna di Grecia. Quivi rimase fino all’armistizio dell’8 settembre 1943, dopo il quale alterne vicissitudini lo portarono prima in un campo di prigionia tedesco, in Germana, poi in uno inglese in India. Ritornato in Italia alla fine del conflitto, vinse un concorso per entrare in banca, al Credito Italiano. In seguito a ciò andò a lavorare per un paio d’anni a Reggio Emilia, città in cui trovò degli amici che gli trasmisero la passione per la fotografia. Rientrò poi a Trieste, ove fu impiegato nella storica filiale di Piazza della Borsa per più di trent’anni, fino al pensionamento avvenuto nel 1984. Venne a mancare pochi anni dopo, il 20 giugno 1989, in seguito ai traumi riportati in un incidente stradale, avvenuto in Istria tre mesi prima, nel corso di quella che sarebbe stata la sua ultima gita fotografica.

Le prime foto. Fra quelle conservate, risalgono al 1951/52 – non sempre annotava luoghi e date delle riprese – e già nel 1958 era membro della FIAP, ossia la federazione internazionale degli artisti fotografici, mentre gia da alcuni anni si era associato al Circolo Fotografico Triestino, di cui sarebbe diventato negli anni a venire uno dei membri più rappresentativi. Nel contempo cominciò a pubblicare foto su giornali e riviste specializzate, affermandosi anche in vari concorsi, in Italia e all’estero.

Al periodo tra la metà degli anni ’50 e quella dei ’70 risalgono le sue serie fotografiche più note e caratterizzanti: i bimbi ciechi dell’istituto Rittmeyer, i musicisti jazz al castello di San Giusto, gli artisti circensi, i vetrai di Murano, le merlettaie e i pescatori di Burano e molte altre ancora.

I soggetti più ricorrenti nelle sue opere sono da una parte gli anziani, dall’altra i bambini spesso interrelati e colti con semplicità nei momenti di riflessione e di svago. E poi i lavoratori, specie artigiani e pescatori, impegnati nelle loro occupazioni, visti con occhio partecipe ma alieno da ogni sentimentalismo di maniera.

Gli ambienti suoi privilegiati sono sempre stati quelli rurali e agresti del Carso e dell’Istria, nonché il paesaggio della laguna di Grado-Marano e quella di Venezia (Burano e Pellestrina in primis), della quale, in particolare, seppe cogliere con maestria le magiche suggestioni.

I sentimenti che predominano sono quelli degli affetti e dei rapporti familiari, le malinconie e le gioie delle piccole cose e delle situazioni comuni, mollo spesso l’umorismo e il surrealismo insito in certe scene della vita quotidiana.

(Testo di Livio Crovatto)

Trieste – Largo Sidney Sonnino anni ’70/’80

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Largo Sidney Sonnino (anni ’70/’80)
Foto: Ferruccio Crovatto
Post di Livio Crovatto

Ferruccio Crovatto nasce a Trieste il 14 marzo 1920, da genitori provenienti dalla Dalmazia. Dopo il diploma in ragioneria presso l’istituto tecnico “G. R. Carli” si iscrive alla Facoltà di Economia e Commercio, ma ben presto deve interrompere gli studi in quanto chiamato sotto le armi in occasione della Campagna di Grecia. Quivi rimase fino all’armistizio dell’8 settembre 1943, dopo il quale alterne vicissitudini lo portarono prima in un campo di prigionia tedesco, in Germana, poi in uno inglese in India. Ritornato in Italia alla fine del conflitto, vinse un concorso per entrare in banca, al Credito Italiano. In seguito a ciò andò a lavorare per un paio d’anni a Reggio Emilia, città in cui trovò degli amici che gli trasmisero la passione per la fotografia. Rientrò poi a Trieste, ove fu impiegato nella storica filiale di Piazza della Borsa per più di trent’anni, fino al pensionamento avvenuto nel 1984. Venne a mancare pochi anni dopo, il 20 giugno 1989, in seguito ai traumi riportati in un incidente stradale, avvenuto in Istria tre mesi prima, nel corso di quella che sarebbe stata la sua ultima gita fotografica.

Le prime foto. Fra quelle conservate, risalgono al 1951/52 – non sempre annotava luoghi e date delle riprese – e già nel 1958 era membro della FIAP, ossia la federazione internazionale degli artisti fotografici, mentre gia da alcuni anni si era associato al Circolo Fotografico Triestino, di cui sarebbe diventato negli anni a venire uno dei membri più rappresentativi. Nel contempo cominciò a pubblicare foto su giornali e riviste specializzate, affermandosi anche in vari concorsi, in Italia e all’estero.

Al periodo tra la metà degli anni ’50 e quella dei ’70 risalgono le sue serie fotografiche più note e caratterizzanti: i bimbi ciechi dell’istituto Rittmeyer, i musicisti jazz al castello di San Giusto, gli artisti circensi, i vetrai di Murano, le merlettaie e i pescatori di Burano e molte altre ancora.

I soggetti più ricorrenti nelle sue opere sono da una parte gli anziani, dall’altra i bambini spesso interrelati e colti con semplicità nei momenti di riflessione e di svago. E poi i lavoratori, specie artigiani e pescatori, impegnati nelle loro occupazioni, visti con occhio partecipe ma alieno da ogni sentimentalismo di maniera.

Gli ambienti suoi privilegiati sono sempre stati quelli rurali e agresti del Carso e dell’Istria, nonché il paesaggio della laguna di Grado-Marano e quella di Venezia (Burano e Pellestrina in primis), della quale, in particolare, seppe cogliere con maestria le magiche suggestioni.

I sentimenti che predominano sono quelli degli affetti e dei rapporti familiari, le malinconie e le gioie delle piccole cose e delle situazioni comuni, mollo spesso l’umorismo e il surrealismo insito in certe scene della vita quotidiana.

(Testo di Livio Crovatto)

Trieste : Via Carducci, anni ’70

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Via Carducci, anni '70.
Premiata Pasticceria - Panificio di Alfredo Bonazza, Via Carducci 32.
La via è ancora in doppio senso di marcia. In primo piano una Fiat 500 e una 1100.
A sx il negozio di vestiti "Stop".
La tabella rossa della fermata indicava una fermata obbligatoria.
Foto: Collezione Dino Cafagna

Trieste : Panorama di Barcola dal Faro della Vittoria, 1977

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Trieste : Panorama di Barcola dal Faro della Vittoria 1977 - Foto Paolo Parenzan

Viale Miramare (dal cavalcavia di Barcola al Piazzale Vittime 11 Settembre 2001).

Proseguendo lungo la strada litoranea si arriva all’antico villaggio di Barcola a sinistra si trova il circolo canottieri Saturnia, gli stabilimenti balneari, dove dal 1886 la famiglia Cesare dopo aver ottenuto la concessione della spiaggia, creò il primo nucleo del futuro stabilimento balneare Excelsior, il circolo canottieri Nettuno e il palazzetto neogotico costruito da Edoardo Tureck nel 1890 per Alessandro Cesare, davanti al “castelletto” il giardino, dedicato a Monsignor Matija Skabar, con alberi siepi e panchine posto a ridosso del piccolo porticciolo costruito intorno al 1874 e all’inizio dell’antica passeggiata sul lungomare

Sul lato destro si vede l’imponente viadotto ferroviario, che conta venti arcate, lungo 270 metri, con una massima altezza dal piano stradale di 21 m. del viale Miramare, venne costruito assieme alla galleria artificiale dopo l’inaugurazione la linea ferroviaria Trieste-Vienna avvenuta nel luglio del 1857

L’antica chiesa di san Bartolomeo, il cimitero, la scuola che venne costruita nel 1888 nell’attuale via del Cerreto 19, nel 1907 l’edificio scolastico venne ampliato, nel 1927 la scuola ebbe la denominazione di Romeo Battistig, nel 1978, nello stesso edificio venne inaugurata la scuola elementare slovena con il nome di “F.S. Finzgar”, dedicata al sacerdote Fran Saleski Finzgar(1871-1962).
Le grandi ville patronali costruite in stili diversi a cominciare dall’ultimo decennio dell’800. La casa più vecchia, oggi ancora esistente, di proprietà della famiglia burlo è sita in via A. Illesberg. Il caratteristico edificio situato in via A. Nicolodi con l’aspetto di una torre e una balconata sotto il tetto, abitato dai Giuliani nella metà del ‘600.
La villa Prandi acquistata nel 1914 dalla “Fondazione barone Carlo e baronessa Cecilia de Rittmeyer per un asilo di ciechi poveri in Trieste”, dal 1919 l’Istituto Rittmeyer entrò in funzione fornendo una specifica preparazione professionale ai non vedenti.
Affacciato al viale Miramare l’imponente mole del cosidetto albergo americano., costruito verso il 1950.
Sempre in questa zona sorgevano le varie industrie, ne citerò alcune: nel 1884 venne fondata la distilleria a vapore Camis & Stock, oggi in quell’area ha sede la Carozzeria Tlustos, la casa fondata nel 1848 da Jacopo Serravallo produceva il famoso Vino di China Ferrugginoso Serravallo, un elisir medicinale consigliato alle persone deboli e convalescenti. La fabbrica di vaselina Jean Zibell & Co., poi Raffinerie di Ozokerite, la fabbrica di ghiaccio cristallino di Enrico Ritter de Zahòny, che nel 1894 darà lavoro fino ad ottanta operai ed il cui comprensorio sarà poi occupato dalla concessionaria Fiat Antonio Grandi. (Margherita Tauceri)

Trieste : Piazza Goldoni, anni Settanta

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Piazza Goldoni, anni Settanta. Foto Collezione Sergio Sergas


GOLDONI Carlo (piazza)

Piazza Carlo Goldoni: Barriera Vecchia-Città Nuova-Barriera.

L’attuale piazza Goldoni ha cambiato più volte denominazione; nel Settecento si chiamava piazza San Lazzaro, dal 15 giugno 1886 divenne piazza delle Legna, denominazione frequente anche in altre città italiane. Nel 1902, la piazza prese il nome di Carlo Goldoni; nel periodo 1915-1918, dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria-Ungheria, venne ripristinato il toponimo ottocentesco; dal 1919 ritornerà ad essere piazza Goldoni.

La primitiva denominazione Piazza delle Legna si deve al mercato che venne a costituirsi spontaneamente nella distesa che si apriva dopo il Corso e che riforniva di legna la città con gli alberi della collina di Montuzza.

La palazzina Tonello (civico 1), già sede degli uffici di redazione del Piccolo (dal 1897), venne incendiata nel 1915; alla fine del conflitto fu restaurata; al numero civico 10 si trova casa Caccia, su progetto dell’architetto G. Berlam, 1875.

Bibliografia: A. Trampus, Vie e Piazze di Trieste Moderna, Trieste, 1989

Trieste, novembre 1972 – Sostituzione di Michez e Jachez

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Trieste, novembre 1972 - Sostituzione di Michez e Jachez - I due automi che si trovano sulla torre del Palazzo municipale di Trieste. 
F.to Giorgetti

Nel progettare il nuovo Municipio, l’architetto Giuseppe Bruni vi inserì al centro una torre, con tetto a tronco di piramide per ricordare la torre dell’Orologio o del Porto, demolita nel 1838. Al di sopra dell’orologio civico volle le statue raffiguranti due paggi, disposte ai lati di una campana, con braccia articolate, che messe in movimento da  un meccanismo a orologeria, sollevando un martello, battevano le ore. Vennero realizzate nel giugno 1875 dallo scultore Fausto Asteo (1840 – 1901) presso le  fonderie  dei  fratelli de Poli di Ceneda e collocate sulla torre nei giorni 5 e 7 gennaio 1876. Entrarono in funzione il 14 gennaio alle ore 12. I triestini le soprannominarono Michez e Jachez (o Mikez e Jakez) (Michele e Giacomo), due famosi giudici della città. A seguito dei danni arrecati dagli agenti atmosferici e dalle sollecitazioni del meccanismo, vennero sostituite il 3 novembre 1972, assieme alla campana, con delle copie realizzate in bronzo dalla fonderia Brustolin e dalla fonderia Cavadini, entrambe di Verona.


Ritornello triestino:

Xe storto ‘l palazzo, xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez ne bati le ore.
Michez e Jachez co i bati la una,
Le guardie spasegia ‘l ciaro de luna.

Michez e Jachez co i bati le tre;
In qualche contrada i verzi i cafè;
Vien zo le sberchize dai loghi lontan,
Coi mussi ben carighi de late e de pan.

Michez e Jachez co i bati le quatro:
I mandrieri i ciapa l’aratro:
I scovastrade se alza de leto,
I ciapa la scova, el badil e ‘l careto.

Michez e Jachez co i bati le sie:
I arsenaloti i se alza in pie;
Al son de campana i ciapa paura,
Se tardi i riva, i cori in premura.

Michez e Jachez co i bati le sete:
Pel corso se vedi le prime zivete;
A pian ben belo dopo de quele
Vien abasso le sartorele.

Michez e Jachez co i bati le oto:
Tuti i scrivani i cori de troto
In boca ‘l zigaro, in man el baston;
E i buta l’ociada per ogni balcon.

Michez e Jachez co i bati le nove:
Anche i agenti tuti se move.
Michez e Jachez co i bati le diexe
Tute le babe coi zezti de spese

In mezzo la strada le se ferma a babar,
Nè Dio nè santi le pol distacar.
Michez e Jachez co le undixe i bati:
Per tutte le case se prepara i piati,
E i siori ciamai dal porton,
I se alza del leto, i cori al liston.

Xe storto ‘l palazo,
Xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez
I ne bati le ore.

Trieste : novembre 1972 – Sostituzione di Michez e Jachez

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Trieste, novembre 1972 - Sostituzione di Michez e Jachez - I due automi che si trovano sulla torre del Palazzo municipale di Trieste. 
F.to Giorgetti

Nel progettare il nuovo Municipio, l’architetto Giuseppe Bruni vi inserì al centro una torre, con tetto a tronco di piramide per ricordare la torre dell’Orologio o del Porto, demolita nel 1838. Al di sopra dell’orologio civico volle le statue raffiguranti due paggi, disposte ai lati di una campana, con braccia articolate, che messe in movimento da  un meccanismo a orologeria, sollevando un martello, battevano le ore. Vennero realizzate nel giugno 1875 dallo scultore Fausto Asteo (1840 – 1901) presso le  fonderie  dei  fratelli de Poli di Ceneda e collocate sulla torre nei giorni 5 e 7 gennaio 1876. Entrarono in funzione il 14 gennaio alle ore 12. I triestini le soprannominarono Michez e Jachez (o Mikez e Jakez) (Michele e Giacomo), due famosi giudici della città. A seguito dei danni arrecati dagli agenti atmosferici e dalle sollecitazioni del meccanismo, vennero sostituite il 3 novembre 1972, assieme alla campana, con delle copie realizzate in bronzo dalla fonderia Brustolin e dalla fonderia Cavadini, entrambe di Verona.


Ritornello triestino:

Xe storto ‘l palazzo, xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez ne bati le ore.
Michez e Jachez co i bati la una,
Le guardie spasegia ‘l ciaro de luna.

Michez e Jachez co i bati le tre;
In qualche contrada i verzi i cafè;
Vien zo le sberchize dai loghi lontan,
Coi mussi ben carighi de late e de pan.

Michez e Jachez co i bati le quatro:
I mandrieri i ciapa l’aratro:
I scovastrade se alza de leto,
I ciapa la scova, el badil e ‘l careto.

Michez e Jachez co i bati le sie:
I arsenaloti i se alza in pie;
Al son de campana i ciapa paura,
Se tardi i riva, i cori in premura.

Michez e Jachez co i bati le sete:
Pel corso se vedi le prime zivete;
A pian ben belo dopo de quele
Vien abasso le sartorele.

Michez e Jachez co i bati le oto:
Tuti i scrivani i cori de troto
In boca ‘l zigaro, in man el baston;
E i buta l’ociada per ogni balcon.

Michez e Jachez co i bati le nove:
Anche i agenti tuti se move.
Michez e Jachez co i bati le diexe
Tute le babe coi zezti de spese

In mezzo la strada le se ferma a babar,
Nè Dio nè santi le pol distacar.
Michez e Jachez co le undixe i bati:
Per tutte le case se prepara i piati,
E i siori ciamai dal porton,
I se alza del leto, i cori al liston.

Xe storto ‘l palazo,
Xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez
I ne bati le ore.

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Nel progettare il nuovo Municipio, l’architetto Giuseppe Bruni vi inserì al centro una torre, con tetto a tronco di piramide per ricordare la torre dell’Orologio o del Porto, demolita nel 1838. Al di sopra dell’orologio civico volle le statue raffiguranti due paggi, disposte ai lati di una campana, con braccia articolate, che messe in movimento da  un meccanismo a orologeria, sollevando un martello, battevano le ore. Vennero realizzate nel giugno 1875 dallo scultore Fausto Asteo (1840 – 1901) presso le  fonderie  dei  fratelli de Poli di Ceneda e collocate sulla torre nei giorni 5 e 7 gennaio 1876. Entrarono in funzione il 14 gennaio alle ore 12. I triestini le soprannominarono Michez e Jachez (o Mikez e Jakez) (Michele e Giacomo), due famosi giudici della città. A seguito dei danni arrecati dagli agenti atmosferici e dalle sollecitazioni del meccanismo, vennero sostituite il 3 novembre 1972, assieme alla campana, con delle copie realizzate in bronzo dalla fonderia Brustolin e dalla fonderia Cavadini, entrambe di Verona.


Ritornello triestino:

Xe storto ‘l palazzo, xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez ne bati le ore.
Michez e Jachez co i bati la una,
Le guardie spasegia ‘l ciaro de luna.

Michez e Jachez co i bati le tre;
In qualche contrada i verzi i cafè;
Vien zo le sberchize dai loghi lontan,
Coi mussi ben carighi de late e de pan.

Michez e Jachez co i bati le quatro:
I mandrieri i ciapa l’aratro:
I scovastrade se alza de leto,
I ciapa la scova, el badil e ‘l careto.

Michez e Jachez co i bati le sie:
I arsenaloti i se alza in pie;
Al son de campana i ciapa paura,
Se tardi i riva, i cori in premura.

Michez e Jachez co i bati le sete:
Pel corso se vedi le prime zivete;
A pian ben belo dopo de quele
Vien abasso le sartorele.

Michez e Jachez co i bati le oto:
Tuti i scrivani i cori de troto
In boca ‘l zigaro, in man el baston;
E i buta l’ociada per ogni balcon.

Michez e Jachez co i bati le nove:
Anche i agenti tuti se move.
Michez e Jachez co i bati le diexe
Tute le babe coi zezti de spese

In mezzo la strada le se ferma a babar,
Nè Dio nè santi le pol distacar.
Michez e Jachez co le undixe i bati:
Per tutte le case se prepara i piati,
E i siori ciamai dal porton,
I se alza del leto, i cori al liston.

Xe storto ‘l palazo,
Xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez
I ne bati le ore.

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Trieste, novembre 1972 - Sostituzione di Michez e Jachez - I due automi che si trovano sulla torre del Palazzo municipale di Trieste. 
F.to Giorgetti

Nel progettare il nuovo Municipio, l’architetto Giuseppe Bruni vi inserì al centro una torre, con tetto a tronco di piramide per ricordare la torre dell’Orologio o del Porto, demolita nel 1838. Al di sopra dell’orologio civico volle le statue raffiguranti due paggi, disposte ai lati di una campana, con braccia articolate, che messe in movimento da  un meccanismo a orologeria, sollevando un martello, battevano le ore. Vennero realizzate nel giugno 1875 dallo scultore Fausto Asteo (1840 – 1901) presso le  fonderie  dei  fratelli de Poli di Ceneda e collocate sulla torre nei giorni 5 e 7 gennaio 1876. Entrarono in funzione il 14 gennaio alle ore 12. I triestini le soprannominarono Michez e Jachez (o Mikez e Jakez) (Michele e Giacomo), due famosi giudici della città. A seguito dei danni arrecati dagli agenti atmosferici e dalle sollecitazioni del meccanismo, vennero sostituite il 3 novembre 1972, assieme alla campana, con delle copie realizzate in bronzo dalla fonderia Brustolin e dalla fonderia Cavadini, entrambe di Verona.


Ritornello triestino:

Xe storto ‘l palazzo, xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez ne bati le ore.
Michez e Jachez co i bati la una,
Le guardie spasegia ‘l ciaro de luna.

Michez e Jachez co i bati le tre;
In qualche contrada i verzi i cafè;
Vien zo le sberchize dai loghi lontan,
Coi mussi ben carighi de late e de pan.

Michez e Jachez co i bati le quatro:
I mandrieri i ciapa l’aratro:
I scovastrade se alza de leto,
I ciapa la scova, el badil e ‘l careto.

Michez e Jachez co i bati le sie:
I arsenaloti i se alza in pie;
Al son de campana i ciapa paura,
Se tardi i riva, i cori in premura.

Michez e Jachez co i bati le sete:
Pel corso se vedi le prime zivete;
A pian ben belo dopo de quele
Vien abasso le sartorele.

Michez e Jachez co i bati le oto:
Tuti i scrivani i cori de troto
In boca ‘l zigaro, in man el baston;
E i buta l’ociada per ogni balcon.

Michez e Jachez co i bati le nove:
Anche i agenti tuti se move.
Michez e Jachez co i bati le diexe
Tute le babe coi zezti de spese

In mezzo la strada le se ferma a babar,
Nè Dio nè santi le pol distacar.
Michez e Jachez co le undixe i bati:
Per tutte le case se prepara i piati,
E i siori ciamai dal porton,
I se alza del leto, i cori al liston.

Xe storto ‘l palazo,
Xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez
I ne bati le ore.

Trieste: novembre 1972 – Sostituzione di Michez e Jachez

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Trieste, novembre 1972 - Sostituzione di Michez e Jachez - I due automi che si trovano sulla torre del Palazzo municipale di Trieste. 
F.to Giorgetti

Nel progettare il nuovo Municipio, l’architetto Giuseppe Bruni vi inserì al centro una torre, con tetto a tronco di piramide per ricordare la torre dell’Orologio o del Porto, demolita nel 1838. Al di sopra dell’orologio civico volle le statue raffiguranti due paggi, disposte ai lati di una campana, con braccia articolate, che messe in movimento da  un meccanismo a orologeria, sollevando un martello, battevano le ore. Vennero realizzate nel giugno 1875 dallo scultore Fausto Asteo (1840 – 1901) presso le  fonderie  dei  fratelli de Poli di Ceneda e collocate sulla torre nei giorni 5 e 7 gennaio 1876. Entrarono in funzione il 14 gennaio alle ore 12. I triestini le soprannominarono Michez e Jachez (o Mikez e Jakez) (Michele e Giacomo), due famosi giudici della città. A seguito dei danni arrecati dagli agenti atmosferici e dalle sollecitazioni del meccanismo, vennero sostituite il 3 novembre 1972, assieme alla campana, con delle copie realizzate in bronzo dalla fonderia Brustolin e dalla fonderia Cavadini, entrambe di Verona.


Ritornello triestino:

Xe storto ‘l palazzo, xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez ne bati le ore.
Michez e Jachez co i bati la una,
Le guardie spasegia ‘l ciaro de luna.

Michez e Jachez co i bati le tre;
In qualche contrada i verzi i cafè;
Vien zo le sberchize dai loghi lontan,
Coi mussi ben carighi de late e de pan.

Michez e Jachez co i bati le quatro:
I mandrieri i ciapa l’aratro:
I scovastrade se alza de leto,
I ciapa la scova, el badil e ‘l careto.

Michez e Jachez co i bati le sie:
I arsenaloti i se alza in pie;
Al son de campana i ciapa paura,
Se tardi i riva, i cori in premura.

Michez e Jachez co i bati le sete:
Pel corso se vedi le prime zivete;
A pian ben belo dopo de quele
Vien abasso le sartorele.

Michez e Jachez co i bati le oto:
Tuti i scrivani i cori de troto
In boca ‘l zigaro, in man el baston;
E i buta l’ociada per ogni balcon.

Michez e Jachez co i bati le nove:
Anche i agenti tuti se move.
Michez e Jachez co i bati le diexe
Tute le babe coi zezti de spese

In mezzo la strada le se ferma a babar,
Nè Dio nè santi le pol distacar.
Michez e Jachez co le undixe i bati:
Per tutte le case se prepara i piati,
E i siori ciamai dal porton,
I se alza del leto, i cori al liston.

Xe storto ‘l palazo,
Xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez
I ne bati le ore.