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Lavori di ripristino della sede del Piccolo dopo l’incendio del 23 maggio. (foto: coll. Sergas)
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Lavori di ripristino della sede del Piccolo dopo l’incendio del 23 maggio. (foto: coll. Sergas)
Segnaletica della seconda guerra mondiale sui palazzi di Trieste Foto: Roger Seganti Post di Roger Seganti
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Durante la seconda guerra mondiale sui muri delle città italiane furono dipinti (spesso con l’uso della membranite, un legante per pitture resistenti alle intemperie) molti segnali distintivi per la protezione antiaerea (noti anche come segnaletica a muro, pittogrammi, graffiti di guerra o indicazioni murarie). Erano simboli (frecce e lettere) destinati ad indirizzare la popolazione civile verso i rifugi durante i bombardamenti aerei e ad aiutare l’opera delle squadre di soccorso con la rapida individuazione delle uscite di sicurezza dei rifugi e degli attacchi per gli idranti. Particolari segnali furono utilizzati per evidenziare al nemico gli edifici con destinazioni speciali (ospedali, chiese e monumenti) nella speranza che fossero rispettati. Infine vanno citate le scritte nei ricoveri, con un’ampia varietà di prescrizioni e divieti.
Il 30 gennaio 1941 una disposizione del Ministero dell’Interno indirizzata ai prefetti raccomandava “l’ubicazione di grafici (ovvero di cartellonistica) indicanti l’accesso ai ricoveri pubblici antiaerei, illuminati di notte da una lampadina azzurrata protetta verso l’alto”. Altre circolari ministeriali torneranno sull’argomento dei “cartelli e scritte indicatrici delle installazioni”; nel corso del 1942, anche con la prescrizione del dovuto “dispositivo luminoso per segnalazione ricoveri”. Sino ad ora, però, non è stata trovata alcuna tabella specifica delle tipologie grafiche da usare per i segnali distintivi e si ritiene che questi venissero liberamente declinati nel disegno a livello locale
Classificazione
Quella che segue è una prima ipotesi di classificazione (con categorie e sottocategorie) dei segnali distintivi per la protezione antiaerea. Occorre premettere che, non essendovi all’epoca prescrizioni grafiche univoche su scala nazionale, si osservano nelle diverse città simboli molto simili ma spesso non identici (variabili anche nelle dimensioni e nei colori). Inoltre per alcune lettere manca ancora un’interpretazione certa, non essendo stati trovati riscontri in documenti ufficiali.
“I” Idrante. Via Torino angolo Via Duca d’Aosta. Foto Giornalfoto 1972 (Collezione Privata).
Scritte esterne
La scritta esterna più comune è la parola “rifugio” o “ricovero” accompagnata o meno da una freccia. In alcuni casi è seguita dalla parola “ingresso” o, in prossimità dello stesso, dalla specifica della capienza dei posti. In un edificio del Policlinico di Milano è presente l’indicazione “roggia” (dentro un cerchio bianco bordato di nero) per indicare la presenza di un canale artificiale.
Frecce
Le frecce stilizzate appaiono principalmente in bianco e nero, con il contorno più o meno bordato. Ve ne sono poi alcune in colore bianco e rosso (spesso per indicare le uscite di sicurezza).
Lettere
La lettera più ricorrente è la R di ricovero/rifugio, sia su campo bianco che nero, spesso inserita in una freccia. Compare anche nella versione con la c minuscola per indicare l’ubicazione in una corte o cortile (possibile anche condominiale). Lo stesso vale per la sigla US dell’uscita di sicurezza (talvolta con la scritta “in corte”). I punti in cui erano presenti gli idranti (in realtà bocchette dell’acqua poste rasoterra e chiuse da tombini) erano segnalati, oltre che dalla lettera I nera dentro ad un cerchio, anche con una targhetta. La I dell’attacco Idranti è stata segnalata a Genova anche con la m minuscola per l’uso di acqua marina. Alcune lettere sono di interpretazione controversa (in assenza di documenti ufficiali): come la F segnalata a Genova e Parma (forse derivante da “feuerloscher”, ovvero estintore in tedesco; oppure per segnalare fonte, fossato o qualcosa legato ai farmaci) e la S presente a Roma (probabilmente ad indicare un ricovero sotterraneo o in scantinato).
Segnaletica “P” Pozzo.
Segnaletica “I” Idrante. Questo l’elenco completo:Fonti Testo: Wikipedia.
Segnaletica “US” Uscita Sicurezza. U.S. racchiusa in un cerco bianco dal bordo rosso con una freccia indicante alle eventuali squadre di soccorso (in caso se la casa fosse stata colpita dal bombardamento) dove bisognava scavare per raggiungere eventuali superstiti.
A cura di Lorenzo Grassi, vedi anche;Segnali di guerra
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Trieste, Piazza G. Verdi, dicembre 1905 / gennaio 1906. Prove di collocazione del Monumento a Giuseppe Verdi (esemplare in gesso).
Il monumento in pietra bianca, realizzato dallo scultore Laforet, venne poi collocato in Piazza S. Giovanni e inaugurato Il 27 gennaio 1906, dove rimarrà fino al maggio 1915. Distrutto dalle rappresaglie che seguirono la dichiarazione italiana di guerra all’impero austroungarico, venne rifatto in bronzo nel 1926 dalla fonderia Savini e Ripamonti di Milano.
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Trieste, Piazza G. Verdi, dicembre 1905 / gennaio 1906. Prove di collocazione del Monumento a Giuseppe Verdi (esemplare in gesso).
Il monumento in pietra bianca, realizzato dallo scultore Laforet, venne poi collocato in Piazza S. Giovanni e inaugurato Il 27 gennaio 1906, dove rimarrà fino al maggio 1915. Distrutto dalle rappresaglie che seguirono la dichiarazione italiana di guerra all’impero austroungarico, venne rifatto in bronzo nel 1926 dalla fonderia Savini e Ripamonti di Milano.
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Trieste, inverno 1985 - Corso Italia. Foto Sergio Sergas
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Nel progettare il nuovo Municipio, l’architetto Giuseppe Bruni vi inserì al centro una torre, con tetto a tronco di piramide per ricordare la torre dell’Orologio o del Porto, demolita nel 1838. Al di sopra dell’orologio civico volle le statue raffiguranti due paggi, disposte ai lati di una campana, con braccia articolate, che messe in movimento da un meccanismo a orologeria, sollevando un martello, battevano le ore. Vennero realizzate nel giugno 1875 dallo scultore Fausto Asteo (1840 – 1901) presso le fonderie dei fratelli de Poli di Ceneda e collocate sulla torre nei giorni 5 e 7 gennaio 1876. Entrarono in funzione il 14 gennaio alle ore 12. I triestini le soprannominarono Michez e Jachez (o Mikez e Jakez) (Michele e Giacomo), due famosi giudici della città. A seguito dei danni arrecati dagli agenti atmosferici e dalle sollecitazioni del meccanismo, vennero sostituite il 3 novembre 1972, assieme alla campana, con delle copie realizzate in bronzo dalla fonderia Brustolin e dalla fonderia Cavadini, entrambe di Verona.
Ritornello triestino:
Xe storto ‘l palazzo, xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez ne bati le ore.
Michez e Jachez co i bati la una,
Le guardie spasegia ‘l ciaro de luna.
Michez e Jachez co i bati le tre;
In qualche contrada i verzi i cafè;
Vien zo le sberchize dai loghi lontan,
Coi mussi ben carighi de late e de pan.
Michez e Jachez co i bati le quatro:
I mandrieri i ciapa l’aratro:
I scovastrade se alza de leto,
I ciapa la scova, el badil e ‘l careto.
Michez e Jachez co i bati le sie:
I arsenaloti i se alza in pie;
Al son de campana i ciapa paura,
Se tardi i riva, i cori in premura.
Michez e Jachez co i bati le sete:
Pel corso se vedi le prime zivete;
A pian ben belo dopo de quele
Vien abasso le sartorele.
Michez e Jachez co i bati le oto:
Tuti i scrivani i cori de troto
In boca ‘l zigaro, in man el baston;
E i buta l’ociada per ogni balcon.
Michez e Jachez co i bati le nove:
Anche i agenti tuti se move.
Michez e Jachez co i bati le diexe
Tute le babe coi zezti de spese
In mezzo la strada le se ferma a babar,
Nè Dio nè santi le pol distacar.
Michez e Jachez co le undixe i bati:
Per tutte le case se prepara i piati,
E i siori ciamai dal porton,
I se alza del leto, i cori al liston.
Xe storto ‘l palazo,
Xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez
I ne bati le ore.
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Nel progettare il nuovo Municipio, l’architetto Giuseppe Bruni vi inserì al centro una torre, con tetto a tronco di piramide per ricordare la torre dell’Orologio o del Porto, demolita nel 1838. Al di sopra dell’orologio civico volle le statue raffiguranti due paggi, disposte ai lati di una campana, con braccia articolate, che messe in movimento da un meccanismo a orologeria, sollevando un martello, battevano le ore. Vennero realizzate nel giugno 1875 dallo scultore Fausto Asteo (1840 – 1901) presso le fonderie dei fratelli de Poli di Ceneda e collocate sulla torre nei giorni 5 e 7 gennaio 1876. Entrarono in funzione il 14 gennaio alle ore 12. I triestini le soprannominarono Michez e Jachez (o Mikez e Jakez) (Michele e Giacomo), due famosi giudici della città. A seguito dei danni arrecati dagli agenti atmosferici e dalle sollecitazioni del meccanismo, vennero sostituite il 3 novembre 1972, assieme alla campana, con delle copie realizzate in bronzo dalla fonderia Brustolin e dalla fonderia Cavadini, entrambe di Verona.
Ritornello triestino:
Xe storto ‘l palazzo, xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez ne bati le ore.
Michez e Jachez co i bati la una,
Le guardie spasegia ‘l ciaro de luna.
Michez e Jachez co i bati le tre;
In qualche contrada i verzi i cafè;
Vien zo le sberchize dai loghi lontan,
Coi mussi ben carighi de late e de pan.
Michez e Jachez co i bati le quatro:
I mandrieri i ciapa l’aratro:
I scovastrade se alza de leto,
I ciapa la scova, el badil e ‘l careto.
Michez e Jachez co i bati le sie:
I arsenaloti i se alza in pie;
Al son de campana i ciapa paura,
Se tardi i riva, i cori in premura.
Michez e Jachez co i bati le sete:
Pel corso se vedi le prime zivete;
A pian ben belo dopo de quele
Vien abasso le sartorele.
Michez e Jachez co i bati le oto:
Tuti i scrivani i cori de troto
In boca ‘l zigaro, in man el baston;
E i buta l’ociada per ogni balcon.
Michez e Jachez co i bati le nove:
Anche i agenti tuti se move.
Michez e Jachez co i bati le diexe
Tute le babe coi zezti de spese
In mezzo la strada le se ferma a babar,
Nè Dio nè santi le pol distacar.
Michez e Jachez co le undixe i bati:
Per tutte le case se prepara i piati,
E i siori ciamai dal porton,
I se alza del leto, i cori al liston.
Xe storto ‘l palazo,
Xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez
I ne bati le ore.
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Nel progettare il nuovo Municipio, l’architetto Giuseppe Bruni vi inserì al centro una torre, con tetto a tronco di piramide per ricordare la torre dell’Orologio o del Porto, demolita nel 1838. Al di sopra dell’orologio civico volle le statue raffiguranti due paggi, disposte ai lati di una campana, con braccia articolate, che messe in movimento da un meccanismo a orologeria, sollevando un martello, battevano le ore. Vennero realizzate nel giugno 1875 dallo scultore Fausto Asteo (1840 – 1901) presso le fonderie dei fratelli de Poli di Ceneda e collocate sulla torre nei giorni 5 e 7 gennaio 1876. Entrarono in funzione il 14 gennaio alle ore 12. I triestini le soprannominarono Michez e Jachez (o Mikez e Jakez) (Michele e Giacomo), due famosi giudici della città. A seguito dei danni arrecati dagli agenti atmosferici e dalle sollecitazioni del meccanismo, vennero sostituite il 3 novembre 1972, assieme alla campana, con delle copie realizzate in bronzo dalla fonderia Brustolin e dalla fonderia Cavadini, entrambe di Verona.
Ritornello triestino:
Xe storto ‘l palazzo, xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez ne bati le ore.
Michez e Jachez co i bati la una,
Le guardie spasegia ‘l ciaro de luna.
Michez e Jachez co i bati le tre;
In qualche contrada i verzi i cafè;
Vien zo le sberchize dai loghi lontan,
Coi mussi ben carighi de late e de pan.
Michez e Jachez co i bati le quatro:
I mandrieri i ciapa l’aratro:
I scovastrade se alza de leto,
I ciapa la scova, el badil e ‘l careto.
Michez e Jachez co i bati le sie:
I arsenaloti i se alza in pie;
Al son de campana i ciapa paura,
Se tardi i riva, i cori in premura.
Michez e Jachez co i bati le sete:
Pel corso se vedi le prime zivete;
A pian ben belo dopo de quele
Vien abasso le sartorele.
Michez e Jachez co i bati le oto:
Tuti i scrivani i cori de troto
In boca ‘l zigaro, in man el baston;
E i buta l’ociada per ogni balcon.
Michez e Jachez co i bati le nove:
Anche i agenti tuti se move.
Michez e Jachez co i bati le diexe
Tute le babe coi zezti de spese
In mezzo la strada le se ferma a babar,
Nè Dio nè santi le pol distacar.
Michez e Jachez co le undixe i bati:
Per tutte le case se prepara i piati,
E i siori ciamai dal porton,
I se alza del leto, i cori al liston.
Xe storto ‘l palazo,
Xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez
I ne bati le ore.
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Nel progettare il nuovo Municipio, l’architetto Giuseppe Bruni vi inserì al centro una torre, con tetto a tronco di piramide per ricordare la torre dell’Orologio o del Porto, demolita nel 1838. Al di sopra dell’orologio civico volle le statue raffiguranti due paggi, disposte ai lati di una campana, con braccia articolate, che messe in movimento da un meccanismo a orologeria, sollevando un martello, battevano le ore. Vennero realizzate nel giugno 1875 dallo scultore Fausto Asteo (1840 – 1901) presso le fonderie dei fratelli de Poli di Ceneda e collocate sulla torre nei giorni 5 e 7 gennaio 1876. Entrarono in funzione il 14 gennaio alle ore 12. I triestini le soprannominarono Michez e Jachez (o Mikez e Jakez) (Michele e Giacomo), due famosi giudici della città. A seguito dei danni arrecati dagli agenti atmosferici e dalle sollecitazioni del meccanismo, vennero sostituite il 3 novembre 1972, assieme alla campana, con delle copie realizzate in bronzo dalla fonderia Brustolin e dalla fonderia Cavadini, entrambe di Verona.
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Xe storto ‘l palazzo, xe bruta la tore,
Ma Michez e Jachez ne bati le ore.
Michez e Jachez co i bati la una,
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I mandrieri i ciapa l’aratro:
I scovastrade se alza de leto,
I ciapa la scova, el badil e ‘l careto.
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I arsenaloti i se alza in pie;
Al son de campana i ciapa paura,
Se tardi i riva, i cori in premura.
Michez e Jachez co i bati le sete:
Pel corso se vedi le prime zivete;
A pian ben belo dopo de quele
Vien abasso le sartorele.
Michez e Jachez co i bati le oto:
Tuti i scrivani i cori de troto
In boca ‘l zigaro, in man el baston;
E i buta l’ociada per ogni balcon.
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Anche i agenti tuti se move.
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Tute le babe coi zezti de spese
In mezzo la strada le se ferma a babar,
Nè Dio nè santi le pol distacar.
Michez e Jachez co le undixe i bati:
Per tutte le case se prepara i piati,
E i siori ciamai dal porton,
I se alza del leto, i cori al liston.
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Giulio Bernardi
Disegno tratto dall'impronta del sigillo comunale del 1369 e dai due tipari conservati al Museo di Trieste
Questo sigillo appare per la prima volta a stampa nell’ «Historia di Trieste» del Padre Ireneo della Croce del 1698 in quella forma che ci è stata tramandata nei due tipari conservati nei Civici Musei che (Kandler?) giudica «di fattura moderna».
Non ho mai trovato un documento antico con l’impronta di questi suggelli, tanto che dubito fossero mai stati usati dal Comune di Trieste in senso proprio. Forse si tratta di copie fatte per essere tramandate, all’epoca (1516) in cui il sigillo triestino fu ricreato, con lo stemma dell’alabarda in campo fasciato, sormontata dall’aquila bicipite.
Impronta del sigillo del Comune di Trieste su un documento del 1369
Ho avuto occasione di vedere un’impronta dell’anno 1369 ma il sigillo è di fattura assai differente.
Giulio Bernardi
Precipuo carattere di rappresentante della «civitas», anzi già del «commune Tergestine civitatis», ha quel gastaldo di Trieste che incontriamo nel lòdo arbitrale pronunciato da Ditmaro, vescovo di Trieste, per la lite fra il comune di Trieste e Dieltamo (sic), signore di Duino nell’ anno 1139.
Tra le varie signorie formatesi dopo il mille in Istria e nella Carsia è notevole quella dei Duinati che dalla loro rocca dominavano la via litoranea. Molesta riusciva ai triestini quella rocca tedesca appollaiata come un falco e croniche furono le contese di confine. Il Comune e il signore di Duino, che si accusavano a vicenda di turbazioni di possesso, si accordarono infine di rivolgersi a Ditmaro. La città aveva quale procuratore il gastaldo Ripaldo, assistito da dodici «boni homines», i quali provarono con giuramento che tutte le terre dalla strada carreggiabile al mare, tra Sistiana e Longera, erano «possessio communitatis Tergestine civitatis». Le parti contendenti s’impegnarono a rispettare questa linea di confine, e il vescovo «posuit inter eos» la penale di cinque lire d’oro. In questo importantissimo lòdo ricorre per la prima volta il nome di «commune Tergestine civitatis». Szombathely richiama particolare attenzione sulla distinzione tra «civitas» e «commune». Questo appare come parte, avente una sua personalità, e investe di piena rappresentanza un suo procuratore: vanta diritto di proprietà sul territorio che è limitato dalla via pubblica tra Sistiana e Longera, e poi dalla catena dei monti Vena e dal mare. Non si tratta della zona di signoria del vescovo, ristretta a un cerchio di tre miglia di raggio, ma proprio dei beni dei cittadini. Il lòdo prova dunque che agli inizi del secolo XII i cittadini hanno già costituito l’associazione volontaria giurata, onde è nato e s’evolve il nuovo ente, e che questo ha ottenuto il riconoscimento, almeno tacito, del vescovo. Esso è ancora infante, ma già pieno di promettente vigore; e già si delinea preciso il territorio del futuro piccolo stato sovrano, in perfetta corrispondenza con la dicitura del suggello trecentesco: SISTILIANU PUBLICA CASTILIR MARE CERTOS DAT MICHI FINES.
Giulio Bernardi
In un documento del 933, Trieste è rappresentata da un «locoposito», forse designato o eletto dal vescovo. Primo tra gli «scabini» (rappresentanti della cittadinanza), egli forse corrisponde al primate che appare di questi tempi nelle città dalmatiche, però sembra prevalere in lui il carattere di primo rappresentante cittadino. Nel corso del secolo XI, il locoposito perde via via la sua importanza e il titolo si riduce a una qualificazione onorifica ed ereditaria. In sua vece spunta, nel secolo XII, il gastaldo che poco ha a che fare con il gastaldo longobardo o franco, ma invece sembra assumere anche nelle città istriane il posto di primo ufficiale, come magistrato elettivo, facente parte del collegio dei giudici, cioè delle supreme cariche cittadine perpetuanti quelle del municipio romano.
A Trieste il gastaldo, preposto dal vescovo signore della «civitas», riuniva in sé ai poteri amministrativi e giudiziari conferitigli dal vescovo, che egli esercitava in qualità di agente, anche la rappresentanza dei cittadini. A seconda della sua maggiore o minore potenza, la «civitas» designava al vescovo la persona dell’ eleggendo e talvolta addirittura forse lo imponeva.
Alberto Rieger (Trieste, 1834 - Vienna, 1905),Trieste nel 1700.
Rieger nasce a Trieste nel 1834. Formatosi presso lo studio del padre Giuseppe, entra all’Accademia di Belle Arti di Venezia su sostegno economico del barone Pasquale Revoltella. Risiede a Trieste sino al 1870 dove tiene bottega, come buona parte dei pittori austriaci residenti nella città di Trieste, in quegli anni.
Si dedicò prevalentemente alle vedute cittadine e di paesaggio, anche a volo d’uccello, non prive di qualche fantasioso inserimento, sapendo ben cogliere gli angoli più suggestivi del territorio. Le sue opere verranno sovente riprodotte in edizioni litografiche di grande tiratura.
Piazza Unità d'Italia, già piazza San Pietro, piazza Grande, piazza Francesco Giuseppe
Sulla torre municipale due automi bronzei fanno udire i loro rintocchi allo scoccare delle ore. Proseguendo sul lato del municipio si giunge al sito archeologico del teatro romano.
Il palazzo Pitteri (1780 – architetto Ulderico Moro); è il più antico palazzo di piazza Unità.
Il Grand Hotel Duchi d’Aosta (1873 – ingegner Eugenio Geiringer e architetto Giovanni Righetti);
Il palazzo della compagnia di navigazione Lloyd Austriaco di Navigazione, poi Lloyd Triestino, ed ora sede della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia (1884 – architetto Heinrich von Ferstel)
Sul lato mare si trovano due pili portabandiera, donati nel 1932 dagli autieri della prima guerra mondiale, ove vengono effettuati gli alza e gli ammaina bandiera solenni.
Il palazzo del Comune. Opera dell’arch. Giuseppe Bruni
Subito dopo la decisione di interrare il vecchio mandracchio (1858-1863), la piazza fu oggetto di una riprogettazione totale. Prevalse allora l’idea di uno spazio completamente aperto sul mare, attorniato da edifici e con il municipio posto come base frontale, con il conseguente abbattimento delle mura e degli edifici che allora chiudevano la piazza dal lato mare. Sul posto designato per far sorgere il palazzo Comunale sorgevano diverse casette, una loggia ed alcuni edifici.
Nel 1875 l’architetto triestino Giuseppe Bruni vinse la gara per la progettazione del nuovo palazzo. Il nuovo edificio era formato da un corpo unico monumentale sovrastato, nella parte centrale, da una torre. Bruni mise tutta la sua bravura per richiamare in quest’opera diverse forme architettoniche, conciliando monumentalità e imponenza, senza in qualche modo turbare l’armonia con gli altri edifici già costruiti.
Il palazzo del municipio è sovrastato dalla torre campanaria sulla quale sono installati due mori, chiamati amichevolmente dai triestini Micheze e Jacheze (dallo sloveno Mihec e Jakec), anche questi progettati da Bruni, che dal 1876 scandiscono il trascorrere del tempo ogni quarto d’ora, nonché la campana civica con l’alabarda cittadina.
Gli automi originali della torre campanaria del comune di Trieste
Le due figure che oggi rintoccano sul municipio, non sono le statue originali, esposte attualmente al castello di San Giusto dopo il restauro cui sono state sottoposte nel 2006 a causa dell’intenso logoramento, ma fedeli copie identiche alle precedenti.
Il palazzo non piacque subito ai triestini, che iniziarono ad etichettarlo con nomi buffi e originali. Il più famoso, e ancora oggi comunemente usato, è palazzo Cheba, ovvero palazzo Gabbia, per la forma che ricorda una enorme gabbia per gli uccelli, ma anche palazzo Sipario, poiché con la sua mole imponente riusciva a nascondere i ruderi e le brutture delle case della Cittavecchia che si trovavano alle sue spalle.
Fu proprio dal balcone centrale del municipio di Trieste che il 18 settembre 1938 Benito Mussolini, parlando alla gente in piazza Unità, annunciò la promulgazione delle leggi razziali fasciste in Italia.
Palazzo Modello
L’edificio si trova tra il municipio e il palazzo Stratti e fu costruito sempre dall’architetto Giuseppe Bruni tra il 1871 e il 1873, prendendo il posto delle vecchie chiese di San Pietro e San Rocco che si trovavano ivi in loco. Il palazzo fu progettato dietro indicazioni del Comune e venne soprannominato Modello perché doveva servire come esempio architettonico per la ristrutturazione che stava avvenendo nell’allora piazza Grande.
All’inizio il palazzo fu adibito ad albergo, denominato Hotel Delorme, che però smise di operare verso il 1912. Al suo posto trovarono spazio gli uffici del Comune. Nel 2007, in seguito alla devastazione da parte di un incendio, il Comune di Trieste lo ha venduto all’allora azienda municipalizzata AcegasAps, ora AcegasApsAmga, col fine di realizzare la nuova sede direzionale.
Nell’ultimo piano dell’edificio si notano dei telamoni (statue maschili) intenti a reggersi la tunica.
Palazzo del Lloyd Triestino
La fontana del bergamasco Giovanni Battista Mazzoleni
Tra il 1751 e il 1754 nell’allora piazza Grande si decise la costruzione di una fontana che doveva rappresentare Trieste come la città favorita dalla fortuna grazie all’istituzione del porto franco da parte di Carlo VI e delle politiche di sviluppo di Maria Teresa d’Austria.
L’opera venne realizzata dallo scultore bergamasco Giovanni Battista Mazzoleni.
Il mondo è rappresentato da quattro statue allegoriche che richiamano i tratti delle persone che vivevano nei continenti allora conosciuti (Europa, Asia, Africa e America).
L’acqua sgorgava da quattro figure allegoriche di fiumi, sempre ad indicare i continenti. La rappresentazione del Nilo ha il volto velato, le sorgenti infatti allora erano sconosciute.
Sulla sommità della fontana sovrasta una figura femminile alata e a braccia aperte che rappresenta Trieste. Adagiata sulle rocce del Carso la statua è circondata da pacchi, balle di cotone e cordame. Come immagine simbolica di una città che accoglieva i commercianti provenienti da tutto il mondo e, in maggior misura, dall’area orientale.
Nel 1938, in occasione di una visita di Benito Mussolini a Trieste, la fontana venne rimossa per liberare la piazza, e custodita all’Orto Lapidario. Venne ricollocata nella piazza appena nel 1970, in una posizione leggermente più a lato (verso ovest) rispetto all’attuale. Il 10 ottobre 2000, nell’ambito della ristrutturazione dell’intera piazza, la fontana è stata spostata nuovamente al centro, riponendola in asse con il municipio.
La fontana negli ultimi tempi è stata oggetto di atti di vandalismo che hanno danneggiato tre delle quattro statue che la circondano. Solo l’Europa si è salvata da questi scempi. L’ultimo episodio risale al 15 maggio 2008 quando, durante la notte, un ignoto ha decapitato la testa della statua rappresentante l’Africa, lasciandola semplicemente appoggiata al resto del corpo. Il 30 giugno 2009 sono terminati i lavori di restauro alle statue danneggiate.
Statua di Carlo VI
La statua di Carlo VI, del veneto Lorenzo Fanoli
A pochi metri a destra della fontana dei Quattro Continenti (avendo il mare alle spalle e osservando il municipio) una colonna in pietra bianca sorregge una statua di un imperatore. Essa è la colonna di Carlo VI d’Asburgo.
Tra tutte le modifiche a cui la piazza ha assistito nel corso dei secoli, questo elemento è presente e costante fin dal 1728, anno in cui fu deciso di erigere la statua in occasione della visita dell’imperatore a Trieste.
Figlio di Leopoldo I d’Austria (la cui statua si trova nell’attuale piazza della Borsa) e padre di Maria Teresa d’Austria, Carlo VI nel 1719 istituì il porto franco a Trieste, dando un notevole impulso al commercio e allo sviluppo cittadino.
La statua raffigura l’Imperatore in piedi che osserva il vecchio nucleo cittadino (verso piazza della Borsa) e indica il mare, con il porto franco da lui istituito. Data la fretta dovuta all’imminenza della visita, la statua fu provvisoriamente realizzata in legno e dorata, e sostituita quindi nel 1756 dall’attuale in pietra.
(Fonte Wikipedia e altre)