Come cambiò nel tempo Piazza Grande- un momento di transizione

Dall’Albertina di Vienna questo dipinto che mostra il porto di Trieste, autore Leander Russ, anno 1845.
Il titolo Porto di Trieste: ovviamente il porto di allora, di fronte alla piazza principale presso le Rive.
Fissa nel suo dipinto un momento particolare della storia di Piazza Grande anche detta Piazza san Pietro   (ora, ingrandita,  Piazza Unità d’Italia) e del porto di allora: hanno già abbattuto le mura e la torre del porto ( 1837-38), ma non ancora la Locanda grande che si riconosce al centro, a sinistra palazzo Plenario poi Pitteri unico a rimaner al suo posto e si intravede la colonna di Carlo VI a sinistra. In primo piano a sinistra dovrebbe essere casa Stratti (1837). A destra c’è il mandracchio e il moletto che si intravede non è il molo san Carlo ( ora Audace) ma il piccolo molo che si trovava al centro del porticciolo .
La casa in fondo si trova tuttora in via Mercato vecchio.

Successivamente 1858-63 interrarono il porticciolo – mandracchio , per ricordarlo attualmente in piazza ci sono lucine azzurre per terra, per ricordare che lì un tempo arrivava il mare.

Alcune immagini della Biblioteca Civica Attilio Hortis che mostrano la zona vista dal lato della piazza, prima che abbattessero torre e carceri

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Trieste: Segnaletica della seconda guerra mondiale sui palazzi.

U.S. Uscita Sicurezza. Via Parini 9

Segnaletica della seconda guerra mondiale sui palazzi di Trieste

Foto: Roger Seganti 
Post di Roger Seganti

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Presa d'aria del rifugio antiaereo in Viale Campi Elisi.
Presa d’aria del rifugio antiaereo in Viale Campi Elisi.

Durante la seconda guerra mondiale sui muri delle città italiane furono dipinti (spesso con l’uso della membranite, un legante per pitture resistenti alle intemperie) molti segnali distintivi per la protezione antiaerea (noti anche come segnaletica a muro, pittogrammi, graffiti di guerra o indicazioni murarie). Erano simboli (frecce e lettere) destinati ad indirizzare la popolazione civile verso i rifugi durante i bombardamenti aerei e ad aiutare l’opera delle squadre di soccorso con la rapida individuazione delle uscite di sicurezza dei rifugi e degli attacchi per gli idranti. Particolari segnali furono utilizzati per evidenziare al nemico gli edifici con destinazioni speciali (ospedali, chiese e monumenti) nella speranza che fossero rispettati. Infine vanno citate le scritte nei ricoveri, con un’ampia varietà di prescrizioni e divieti.
Il 30 gennaio 1941 una disposizione del Ministero dell’Interno indirizzata ai prefetti raccomandava “l’ubicazione di grafici (ovvero di cartellonistica) indicanti l’accesso ai ricoveri pubblici antiaerei, illuminati di notte da una lampadina azzurrata protetta verso l’alto”. Altre circolari ministeriali torneranno sull’argomento dei “cartelli e scritte indicatrici delle installazioni”; nel corso del 1942, anche con la prescrizione del dovuto “dispositivo luminoso per segnalazione ricoveri”. Sino ad ora, però, non è stata trovata alcuna tabella specifica delle tipologie grafiche da usare per i segnali distintivi e si ritiene che questi venissero liberamente declinati nel disegno a livello locale

Classificazione
Quella che segue è una prima ipotesi di classificazione (con categorie e sottocategorie) dei segnali distintivi per la protezione antiaerea. Occorre premettere che, non essendovi all’epoca prescrizioni grafiche univoche su scala nazionale, si osservano nelle diverse città simboli molto simili ma spesso non identici (variabili anche nelle dimensioni e nei colori). Inoltre per alcune lettere manca ancora un’interpretazione certa, non essendo stati trovati riscontri in documenti ufficiali.

"I" Idrante. Via Torino angolo Via Duca d'Aosta. Foto Giornalfoto 1972 (Collezione Privata).

“I” Idrante. Via Torino angolo Via Duca d’Aosta. Foto Giornalfoto 1972 (Collezione Privata).

Scritte esterne
La scritta esterna più comune è la parola “rifugio” o “ricovero” accompagnata o meno da una freccia. In alcuni casi è seguita dalla parola “ingresso” o, in prossimità dello stesso, dalla specifica della capienza dei posti. In un edificio del Policlinico di Milano è presente l’indicazione “roggia” (dentro un cerchio bianco bordato di nero) per indicare la presenza di un canale artificiale.

Frecce
Le frecce stilizzate appaiono principalmente in bianco e nero, con il contorno più o meno bordato. Ve ne sono poi alcune in colore bianco e rosso (spesso per indicare le uscite di sicurezza).

P Pozzo. Piazza Garibaldi.

Lettere
La lettera più ricorrente è la R di ricovero/rifugio, sia su campo bianco che nero, spesso inserita in una freccia. Compare anche nella versione con la c minuscola per indicare l’ubicazione in una corte o cortile (possibile anche condominiale). Lo stesso vale per la sigla US dell’uscita di sicurezza (talvolta con la scritta “in corte”). I punti in cui erano presenti gli idranti (in realtà bocchette dell’acqua poste rasoterra e chiuse da tombini) erano segnalati, oltre che dalla lettera I nera dentro ad un cerchio, anche con una targhetta. La I dell’attacco Idranti è stata segnalata a Genova anche con la m minuscola per l’uso di acqua marina. Alcune lettere sono di interpretazione controversa (in assenza di documenti ufficiali): come la F segnalata a Genova e Parma (forse derivante da “feuerloscher”, ovvero estintore in tedesco; oppure per segnalare fonte, fossato o qualcosa legato ai farmaci) e la S presente a Roma (probabilmente ad indicare un ricovero sotterraneo o in scantinato).

Segnaletica “P” Pozzo.

Segnaletica “I” Idrante.

Questo l’elenco completo:
C (Cisterna/canale)
F (Da indentificare: forse “feuerloscher”, ovvero estintore in tedesco)
I (Attacco idranti) – Im (Attacco idranti acqua marina)
P (Pozzo)
R (Ricovero/Rifugio) – Rc o R in C (Ricovero/Rifugio in corte)
S (Da identificare: forse Ricovero sotterraneo/in scantinato)
US (Uscita di sicurezza) – US in C (Uscita di sicurezza in corte)
V (Ventilazione/Presa d’aria dei rifugi). Quest’ultimo era uno dei più importanti, visto che segnalava i punti da liberare dalle macerie del bombardamento per evitare che le persone occupanti il ricovero rimanessero soffocate.

Fonti Testo: Wikipedia.

Segnaletica “US” Uscita Sicurezza. U.S. racchiusa in un cerco bianco dal bordo rosso con una freccia indicante alle eventuali squadre di soccorso (in caso se la casa fosse stata colpita dal bombardamento) dove bisognava scavare per raggiungere eventuali superstiti.

A cura di Lorenzo Grassi, vedi anche;

Segnali di guerra

Foto della vecchia Trieste molto conosciute

Anni fa il quotidiano locale il Piccolo regalò ai suoi lettori delle riproduzioni di fotografie della vecchia Trieste. Sono molto diffuse e riportate, le abbiamo raccolte in un Album che si può  anche vedere su facebook nel gruppo Trieste di ieri e di oggi https://www.facebook.com/media/set/?set=oa.1048583658498557&type=3

Sono riportate le didascalie presenti nell’immagine, a volte generiche e in qualche caso imprecise

 

Trieste : Panorama di Barcola dal Faro della Vittoria, 1977

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Trieste : Panorama di Barcola dal Faro della Vittoria 1977 - Foto Paolo Parenzan

Viale Miramare (dal cavalcavia di Barcola al Piazzale Vittime 11 Settembre 2001).

Proseguendo lungo la strada litoranea si arriva all’antico villaggio di Barcola a sinistra si trova il circolo canottieri Saturnia, gli stabilimenti balneari, dove dal 1886 la famiglia Cesare dopo aver ottenuto la concessione della spiaggia, creò il primo nucleo del futuro stabilimento balneare Excelsior, il circolo canottieri Nettuno e il palazzetto neogotico costruito da Edoardo Tureck nel 1890 per Alessandro Cesare, davanti al “castelletto” il giardino, dedicato a Monsignor Matija Skabar, con alberi siepi e panchine posto a ridosso del piccolo porticciolo costruito intorno al 1874 e all’inizio dell’antica passeggiata sul lungomare

Sul lato destro si vede l’imponente viadotto ferroviario, che conta venti arcate, lungo 270 metri, con una massima altezza dal piano stradale di 21 m. del viale Miramare, venne costruito assieme alla galleria artificiale dopo l’inaugurazione la linea ferroviaria Trieste-Vienna avvenuta nel luglio del 1857

L’antica chiesa di san Bartolomeo, il cimitero, la scuola che venne costruita nel 1888 nell’attuale via del Cerreto 19, nel 1907 l’edificio scolastico venne ampliato, nel 1927 la scuola ebbe la denominazione di Romeo Battistig, nel 1978, nello stesso edificio venne inaugurata la scuola elementare slovena con il nome di “F.S. Finzgar”, dedicata al sacerdote Fran Saleski Finzgar(1871-1962).
Le grandi ville patronali costruite in stili diversi a cominciare dall’ultimo decennio dell’800. La casa più vecchia, oggi ancora esistente, di proprietà della famiglia burlo è sita in via A. Illesberg. Il caratteristico edificio situato in via A. Nicolodi con l’aspetto di una torre e una balconata sotto il tetto, abitato dai Giuliani nella metà del ‘600.
La villa Prandi acquistata nel 1914 dalla “Fondazione barone Carlo e baronessa Cecilia de Rittmeyer per un asilo di ciechi poveri in Trieste”, dal 1919 l’Istituto Rittmeyer entrò in funzione fornendo una specifica preparazione professionale ai non vedenti.
Affacciato al viale Miramare l’imponente mole del cosidetto albergo americano., costruito verso il 1950.
Sempre in questa zona sorgevano le varie industrie, ne citerò alcune: nel 1884 venne fondata la distilleria a vapore Camis & Stock, oggi in quell’area ha sede la Carozzeria Tlustos, la casa fondata nel 1848 da Jacopo Serravallo produceva il famoso Vino di China Ferrugginoso Serravallo, un elisir medicinale consigliato alle persone deboli e convalescenti. La fabbrica di vaselina Jean Zibell & Co., poi Raffinerie di Ozokerite, la fabbrica di ghiaccio cristallino di Enrico Ritter de Zahòny, che nel 1894 darà lavoro fino ad ottanta operai ed il cui comprensorio sarà poi occupato dalla concessionaria Fiat Antonio Grandi. (Margherita Tauceri)

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Trieste : Piazza dell’ Ospitale, anni Venti/Trenta

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Piazza dell'Ospitale (Ospedale), anni Venti/Trenta. Collezione Walter Coderin

Sulla parete sinistra della chiesa si trova il pulpito ligneo con quattro pannelli a fondo d’oro raffiguranti gli Evangelisti, attribuiti al pittore greco Giovanni Trigonis (1817-1841). Sulla porta alta d’accesso al pulpito è rappresentato il Christos Basileus, sempre della stesso artista, la porta in basso è camuffata tra gli scanni di legno delle pareti.

Trieste : Porta Riborgo e Donota nel 1692

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Trieste : Porta Riborgo e Donota nel 1692 
VIA DONOTA E VIE LIMITROFE

TORRE-PORTA DONOTA
Nel medioevo questa porta era sormontata da una massiccia torre merlata a pianta quadrata datata nel Trecento; inoltre era munita di un ponte levatoio e di un fossato riempito d’acqua che si estendeva lungo quasi tutto il perimetro di difesa.
La porta Donota, che si trovava in linea retta sopra quella di Riborgo, con la quale formava il complesso fortificato di Donota-Riborgo, rappresentava uno dei principali accessi alla città e portava direttamente al colle di San Giusto.
Oggi appare come aperta verso l’interno, mentre la facciata originale esterna non è più visibile, poichè gli è addossato un edificio moderno. In seguito allo sviluppo urbano ottocentesco l’area antistante alla torre è stata circondata da diversi edifici, diventando l’attuale PIAZZA DONOTA. Nel corso degli interventi di ristrutturazione edilizia nel periodo 1982-1984 vennero rinvenute parte delle strutture medioevali della torre che consolidate ospitano l’ANTIQUARIUM inaugurato il 14 dicembre 1985.
La denominazione Donota è antichissima, attestata almeno dal XIV secolo, di origine non accertata, per opinione comune, è da collegarsi al fatto che questa porta fosse la sola che potesse venir aperta di notte, quindi dall’antico dialetto “de note”, ne è derivato il nome di Donota. Lo storico Luigi de Jenner fa risalire l’origine del nome a Donata vedova di Cadolo dei Cadoli che possedeva immobili nella zona.

PIAZZA DI DONOTA
Gli edifici all’angolo della piazza – via della Piccola Fornace vennero demoliti nell’aprile 1935.

VIA DONOTA (da largo Riborgo a via del Seminario)
La strada un tempo aveva inizio dalla scomparsa piazzetta San Giacomo, l’intera zona mutò aspetto nel 1935 con la demolizione di un gruppo di dodici case comprese fra le vie Donota, della Ghiaccerae di Riborgo, che portò alla creazione dell’attuale largo Riborgo.
All’angolo di via Donota e via Battaglia nel 1981 durante i lavori per il recupero edilizio condotto dall’Istituto Case Popolari, vennero ritrovati importanti ruderi romani, in una sucessiva campagna di scavi condotta dal 1982 al 1986, vennero alla luce un edificio risalente al I secolo, tombe a fossa del IV secolo, altre sepolture e anfore, tutto ciò ora è visibile nell’Antiquarium di via Donota, aperto dalla Soprintendenza in data 14 dicembre 1985
 
 
VICOLO SANTA CHIARA (oggi da piazza di Donota a via delle Candele), a ricordo dell’antico cenobio [1] di S.Chiara, monastero delle Clarisse con annessa chiesa dedicata a Santa Chiara che è esistito attorno al XIII secolo.
[1](cenòbio s. m. [dal lat. tardo coenobium, gr. κοινόβιον, comp. di κοινός «comune» e βίος «vita»] – Luogo dove più monaci fanno vita comune, sottoposti alla medesima regola; monastero).

VIA DELLE CANDELE ( da vicolo Santa Chiara a via Battaglia) in riferimento ad una cereria aperta sul posto forse nel 1740 da un certo Guadagnini o nel 1780 da Abramo Vita Basevi

VIA BATTAGLIA (da via Donota a via del Caboro)
in riferimento alla famiglia Battaglia che possedeva parecchie case nella via.
VIA GRUZZULIS (da via Donota a via Prelaser)
in riferimento ad una famiglia con tale nome.

VIA DEL CROCEFISSO
toponimo settecentesco dovuto all’edicola detta “Pontal de Cristo” che si trova all’angolo con via di Donota L’originale forse di origine medioevale è stato distrutto dal fuoco nel 1931 e sostituito da un altro appositamente eseguito, che fu trafugato assieme alla corona sovrastante, il 23 dicembre 1980. L’Associazione commercianti ed esercenti e e il comitato “Fiorire Trieste” fecero realizzare un nuovo crocefisso ad opera dello scultore Renzo. Possenelli che fu posto nell’edicola il 30 ottobre 1987.
Il crocefisso rubato era stato restituito danneggiato, qualche mese dopo il furto lasciato in un confessionale, restaurato a cura del laboratorio di Viviana Deffar e Donatella Russo Cirillo è stato riposizionato nella sua sede originaria in data 23 maggio 2004
Lungo la strada si trova la piccola edicola dedicata a S.Maria, a protezione della via , la cupoletta con le finestre in vetro è scomparsa, ma l’edicola con la madonnina è stata restaurata. Sulla base c’è scritto A 1834

VIA DI MONTUZZA oggi VIA ROTA ( inizia dove via Donota s’incontra con via del Seminario, causa la forte pendenza è formata soprattutto da scalini termina in via Capitolina)
Via G. Rota fino al 1919 si chiamava “via di Montuzza” e prima ancora “contrada di Montuza.” E’ dedicata all’illustre musicista-compositore Giuseppe Rota(1833-1911), nato a Trieste, suo padre era originario di Momiano d’Istria, studiò violino, pianoforte e composizione, esordì nel 1851 al teatro Mauroner con l’opera “il Lazzarone”, dopo aver tenuto concerti in varie città d’Italia si stabilì a Torino, nel 1859 fece ritorno a Trieste, chiamato ad occupare il posto di direttore della Cappella Civica e della Civica scuola di canto, le sue opere vennero rappresentate anche a Parma, Bologna e la Scala di Milano… non fosse che ormai da anni è chiusa.

A destra della via Donota: c’erano gli edifici le strade e le androne scomparse nelle demolizioni fra gli anni 1934-1937.

ANDRONA DEI PORTA attraverso la quale si entrava nel giardino appartenente alla famiglia Porta (oggi non più esistente, subito dopo l’anfiteatro romano)

ANDRONA DEGLI SCALINI sistemata con scalini dalla metà del settecento (al termine di via Donota, nell’androna si trovava un lavatoio pubblico rimasto in funzione fino al 1936 ; oggi collegata all’ex androna della Fontanella è un sentiero che collega via del Teatro Romano e via Donota

VIA DI RENA (oggi non più esistente da via del Pozzo Bianco a via Donota)
Nella foto s (scomparsa nelle demolizioni degli anni ’30), da via Donota alta. La mappa del 1912 nei commenti.
All’origine di questo nome è il Teatro Romano, al tempo considerato erroneamente un “arena”, (arena vecia= Rena Vecia) ci sono documenti che ne attestano l’esistenza del teatro già nel 1690, in seguito i resti scomparvero sotto le case costruite nel corso degli anni. Via di Rena iniziava da via del Pozzo Bianco e arrivava fino via Donota; in questa strada nel 1732 venne edificata da Stefano Conti, la casa domenicale e la cappelletta dedicata alla Sacra famiglia.

ANDRONA DEI POZZI (oggi non più esistente si trovava alla fine della via Rena) in riferimento a due antichi pozzi

VIA DEL CROCEFISSO
Via del Crocefisso, il nome è dovuto ad un edicola con il crocefisso posta all’inizio della via. L’originale settecentesco è stato asportato nel 1913 e sostituito da un altro appositamente eseguito che fu trafugato il 23 dicembre 1980. L’Associazione commercianti ed esercenti e e il comitato “Fiorire Trieste” fecero realizzare un nuovo crocefisso ad opera dello scultore R. Possenelli che fu posto nell’edicola il 30 ottobre 1987.
In via del Crocefisso (da via Donota a piazzetta Tor Cucherna) c’è un edicola dedicata a S.Maria, a protezione della via , la cupoletta con le finestre in vetro è scomparsa, ma in seguito l’edicola con la madonnina è stata restaurata, sulla base c’è scritto A 1834- S. Maria Mater Grazie-

(Margherita Tauceri)


Testi consultati:

Le Antiche Mura e Torri di Trieste di Dino Cafagna
Vie e Piazza di Trieste Moderna di Antonio Trampus
Cittavecchia di Fabio Zubini

Trieste – San Giovanni Decollato, stazioni o tappe della Via Crucis: XII-XIII-XIV

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Trieste - San Giovanni Decollato, stazioni o tappe della Via Crucis, opera del pittore Giovanni Luigi Rose (1858)
XII Gesù muore in croce
XIII Gesù è deposto dalla croce
XIV Gesù è deposto nel sepolcro

La chiesa venne costruita a partire dall’anno 1856 su progetto dell’architetto Giuseppe Sforzi  e venne consacrata dal vescovo Bartolomeo Legat il 27 giugno 1858. Nel 1859 fu istituita a vicariato parrocchiale; nel 1864 venne elevata a parrocchia.

Resasi la vecchia chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio insufficiente alla popolazione di S. Giovanni, nel 1852 venne sottoposta al Magistrato civico la richiesta di ampliare la stessa o in alternativa di costruirne una nuova. L’allora Podestà di Trieste, Muzio de Tommasini, era favorevole alla costruzione di nuove chiese a Trieste (diede parere favorevole anche alla costruzione di quella di S. Giacomo e di Roiano). L’8 febbraio si optò per la realizzazione di un nuovo edificio a spese del Comune e la concessione del terreno. Il 29 giugno 1856 vennero iniziati i lavori di costruzione.

Dedicata a San Giovanni Decollato (cioè al Battista), porta l’iscrizione latina sulla lunetta del portale:

TEMPLUM / IOANNI / DECOLLATO / VARDULENSIUM / PATRONO / SACRUM TERGESTINORUM / PIETATE / EXCITATUM BARTHOLOMAEUS / EPPUS / TERGESTIN / IUSTINOP /  DEDICAVIT / ATQUE / CONSECRAVIT / DIE / XXVII / IUNII / MDCCCLVIII.

L’edificio è stato progettato dall’architetto Sforzi e si presenta a pianta a croce latina ad unica navata, con due bracci laterali e con abside pentagonale. Il campanile è a base quadrata addossato all’estremo lato dell’abside. L’altare maggiore, disegnato dallo Sforzi nel 1857, è costituito da una mensa con tabernacolo, decorata a motivi geometrici con marmi policromi; i due altari laterali sono stati progettati ed eseguiti dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l’altare maggiore si trova la pala raffigurante S. Giovanni in attesa del martirio, opera del pittore viennese Edoardo Heinrich, siglato e datato 1858; ai lati dell’altare due statue devozionali in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić.

Lungo le pareti troviamo quattordici stazioni della Via Crucis (1858) dipinte dal pittore Giovanni Luigi Rose (che nel 1856 aveva già eseguito la Via Crucis per S. Giacomo); sui due altari laterali le pale della Beata Vergine del Rosario e di San Giuseppe, attribuite sempre al Rose, con l’aiuto del figlio Antonio.

Sulla parete destra, presso l’entrata, si trova il quadro dell’Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, donata da un privato; sulla parete di fronte è collocata la pala con la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l’antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale.

L’organo originale, proveniva da S. Giusto ed era stato costruito nel 1780 da Francesco Dazzi o Dacci. Diviso a metà (l’altra metà finì nel 1862 nella chiesa di Roiano), venne collocato nella chiesa di san Giovanni nel 1860. Venne sostituito nel 1953 da uno realizzato da Elli Zanin di Codroipo.

Nel 1932 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di decorazione esterna con il concorso della Soprintendenza.

(g.c.)

Trieste – San Giovanni Decollato, lato sinistro presso l’entrata, la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio

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Trieste - San Giovanni Decollato, lato sinistro presso l'entrata, la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l'antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale

La chiesa venne costruita a partire dall’anno 1856 su progetto dell’architetto Giuseppe Sforzi  e venne consacrata dal vescovo Bartolomeo Legat il 27 giugno 1858. Nel 1859 fu istituita a vicariato parrocchiale; nel 1864 venne elevata a parrocchia.

Resasi la vecchia chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio insufficiente alla popolazione di S. Giovanni, nel 1852 venne sottoposta al Magistrato civico la richiesta di ampliare la stessa o in alternativa di costruirne una nuova. L’allora Podestà di Trieste, Muzio de Tommasini, era favorevole alla costruzione di nuove chiese a Trieste (diede parere favorevole anche alla costruzione di quella di S. Giacomo e di Roiano). L’8 febbraio si optò per la realizzazione di un nuovo edificio a spese del Comune e la concessione del terreno. Il 29 giugno 1856 vennero iniziati i lavori di costruzione.

Dedicata a San Giovanni Decollato (cioè al Battista), porta l’iscrizione latina sulla lunetta del portale:

TEMPLUM / IOANNI / DECOLLATO / VARDULENSIUM / PATRONO / SACRUM TERGESTINORUM / PIETATE / EXCITATUM BARTHOLOMAEUS / EPPUS / TERGESTIN / IUSTINOP /  DEDICAVIT / ATQUE / CONSECRAVIT / DIE / XXVII / IUNII / MDCCCLVIII.

L’edificio è stato progettato dall’architetto Sforzi e si presenta a pianta a croce latina ad unica navata, con due bracci laterali e con abside pentagonale. Il campanile è a base quadrata addossato all’estremo lato dell’abside. L’altare maggiore, disegnato dallo Sforzi nel 1857, è costituito da una mensa con tabernacolo, decorata a motivi geometrici con marmi policromi; i due altari laterali sono stati progettati ed eseguiti dallo scalpellino Antonio Trobec nel 1873. Sopra l’altare maggiore si trova la pala raffigurante S. Giovanni in attesa del martirio, opera del pittore viennese Edoardo Heinrich, siglato e datato 1858; ai lati dell’altare due statue devozionali in stucco policromo (del 1902), ritenute i Santi Cirillo e Metodio, realizzate da Fr. Ks. Tončić.

Lungo le pareti troviamo quattordici stazioni della Via Crucis (1858) dipinte dal pittore Giovanni Luigi Rose (che nel 1856 aveva già eseguito la Via Crucis per S. Giacomo); sui due altari laterali le pale della Beata Vergine del Rosario e di San Giuseppe, attribuite sempre al Rose, con l’aiuto del figlio Antonio.

Sulla parete destra, presso l’entrata, si trova il quadro dell’Assunta, produzione barocca ispirata alla celebre pala del Tiziano, donata da un privato; sulla parete di fronte è collocata la pala con la Madonna fra i santi Giovanni e Pelagio, dipinta dal Rose nel 1853 (firmata e datata), eseguita per l’antica chiesetta dei SS. Giovanni e Pelagio e in seguito trasferita nella nuova parrocchiale.

L’organo originale, proveniva da S. Giusto ed era stato costruito nel 1780 da Francesco Dazzi o Dacci. Diviso a metà (l’altra metà finì nel 1862 nella chiesa di Roiano), venne collocato nella chiesa di san Giovanni nel 1860. Venne sostituito nel 1953 da uno realizzato da Elli Zanin di Codroipo.

Nel 1932 sono stati effettuati dei lavori di restauro e di decorazione esterna con il concorso della Soprintendenza.

(g.c.)

Zona Sant’Andrea da una fotografia del 1870

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Zona Sant'Andrea da una fotografia del 1870 - Collezione Dino Cafagna


1870: (probabilmente) la fotografia più vecchia della zona di San Andrea.
A sinistra l’inizio dell’attuale via Murat, a destra l’attuale Via Romolo Gessi. Al centro la Villa Gialuzzi (non ancora trasformata – nel 1875 – nella Stazione Geologica). A sinistra la casa del conte Vojnovich corrisponde all’attuale villa Segrè-Melzi di via G. Murat.

Trieste : Veduta del 1840

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Trieste: Veduta del 1840


Veduta del 1840. La riva arcuata è la Via del Mare (adesso luogo deI giardino di Piazza della Libertà, davanti alla Stazione Centrale). La villa coi cipressi fu della famiglia patrizia degli Argento, e poi del negoziante Trapp. Nella lunga tettoia si trovava la corderia Bozzini. La villa a sinistra, dal lato di Roiano appartenne allo scrittore triestino Antonio de’ Giuliani, che la fece erigere per sè alla fine del ‘700.

 

Via del Fortino, anni Venti. Da via di Cavana a via dei Fornelli

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Via del Fortino. Da via di Cavana a via dei Fornelli. 


Toponimo settecentesco suggerito dalla presenza di un «fortino d’artiglieria» posto lungo le mura cittadine, tra la torre della Pescheria e la porta di Cavana. Certamente tale posto fortificato venne perdendo assai presto le sue funzioni e non appare più menzionato nel Settecento, quindi ben prima dell’abbattimento delle mura. Gli edifici sul lato destro sono stati ristrutturati nel 1985-1988. (A. Trampus – Vie e Piazze di Trieste Moderna, 1989)

Dimostranti si recano con il tricolore alla Cattedrale di San Giusto, 1918

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Lauro Lach Laghi (Trieste 1891-1971).
Caricaturista per il giornale "Il Piccolo" e per il giornale satirico "Marameo".
Trieste nella guerra mondiale 1914-1918: 
”Dimostranti si recano con il tricolore alla Cattedrale di San Giusto”, tempera su carta, datato 1918. Già Stadion Casa d'Aste, Trieste.
La Cattedrale di san Giusto.
Al culmine del colle omonimo, dove si suppone, ma senza prove evidenti, che ci potesse essere stato un castelliere, in epoca romana si creò una sorta di Acropoli. In corrispondenza all’attuale cattedrale vi era un tempio dedicato alla Triade Capitolina (provato dalle cuspidi con le immagini simboliche di Giove Giunone e Minerva) e quello che adesso viene considerato dai più come un propileo a due corpi laterali avanzanti, sul tipo dell’altare di Pergamo e di cui parte è inglobata nel Campanile.
Nei primi tempi cristiani, la zona sacra cimiteriale si trovava a mare, presso la Basilica dei SS Martiri e della Madonna del Mare e probabilmente là era conservato il venerato corpo di san Giusto, martire protettore della città.
Già nel V secolo d.C. si ritiene che ci sia stata una primitiva basilica paleocristiana sul Colle, di cui rimangono alcune tracce reimpiegate o esposte. Successivamente, verso l’anno Mille, ma le date sono tuttora controverse, sono comparse due chiese parallele, una dedicata alla Vergine ed una a san Giusto, impreziosite dalla due absidi a mosaico. La Vergine in trono, gli Apostoli e il Cristo fra san Giusto e san Servolo.All’inizio del Trecento il vescovo Rodolfo Pedrazzani unificò le due chiese eliminando un lato di ciascuna per creare una basilica unica a cui aggiunse il rosone trecentesco.
Su questa versione, le fonti concordano, tranne A. Tamaro, che sulla base di citazioni relative alla Basilica di S Maria e san Giusto, e di evidenze stilistiche dei capitelli, sostiene che la chiesa unificata sia stata molto precedente e progettata direttamente; in questo caso i capitelli son di reimpiego, molto diversi uno dall’altro e nell’absidina della chiesa di san Giusto troviamo reimpiegati capitelli portanti il monogramma del vescovo Frugifero, il primo vescovo triestino storicamente accertato.
Con la costruzione della nuova basilica venne pure costruito il campanile su cui è inserita una statua di san Giusto con in mano la città ed una piccola epigrafe in caratteri medievali. Il portale venne decorato con a stele dei Barbi e la  nuova abside venne dipinta a fresco con un’Incoronazione della Vergine fra i Santi triestini, che venne distrutta nei lavori del 1843. Frammenti sono conservati al Museo del Castello.
L’absidiola di san Giusto che ora mostra gli affreschi romanici, venne decorata con quegli affreschi di storie del santo che adesso ammiriamo esposte nel Battistero.
Tracce delle pitture della Basilica del Tre e Quattrocento si trovano ancora in Cattedrale…Fra il Trecento e il Quattrocento furono aggiunte alcune cappelle laterali dedicate rispettivamente a S. Caterina (poi san Carlo), san Servolo e S. Antonio Abate. Nel Seicento venne aggiunta la cappella di san Giuseppe, affrescata nel Settecento.
Nel 1630 il vescovo Scarlichio “ritrovò” le reliquie di san Giusto, come dice una lapide in facciata ed una per terra che la commemora un secolo dopo. Altari seicenteschi come quello nell’abside dell’altar maggiore e quello della cappella dell’Addolorata vennero rimossi nei lavori dell’Ottocento.
Nel Seicento / Settecento la cappella di san Giusto venne decorata dalle tele del Panza rappresentanti sempre il martirio del Santo.Nel 1842-43 imponenti lavori eliminarono l’antica abside affrescata per sostituirla con una a cassettoni neoclassici, vennero tolte tutte le lapidi delle tombe terragne per metterle a decorare l’esterno della chiesa.
Negli anni Trenta venne eliminata l’abside neoclassica e dopo un concorso venne scelto il progetto di Guido Cadorin. Vennero riportate in chiesa la maggior parte delle lapidi.
Sono conservati pur dei bozzetti di Guido Marussich giudicati troppo innovativi per essere inseriti nella chiesa.
Negli anni 50 venne eliminato l’altare barocco della cappella della Vergine o del santissimo – in cui sono sepolti gli ultimi vescovi triestini – altare proveniente da una chiesa veneziana e ora trasferito a san Bartolomeo a Barcola. Venne sostituito da un altare moderno opera di Marcello Mascherini a cui si deve pure il san Giusto dell’acqua con un mosaico neutro per evidenziare quello superiore. Dalla Cappella di san Giusto venne spostata una statua ottocentesca di san Giusto ad una navata.
Nell’Ottocento e nel Novecento la cappella di san Carlo è diventata la cappella di sepoltura degli ultimi Borboni Carlisti di Spagna.
(Elisabetta Marcovich)

Cattedrale di san Giusto, cartolina degli anni Venti

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Cattedrale di san Giusto in una cartolina degli anni Venti
La Cattedrale di san Giusto.
Al culmine del colle omonimo, dove si suppone, ma senza prove evidenti, che ci potesse essere stato un castelliere, in epoca romana si creò una sorta di Acropoli. In corrispondenza all’attuale cattedrale vi era un tempio dedicato alla Triade Capitolina (provato dalle cuspidi con le immagini simboliche di Giove Giunone e Minerva) e quello che adesso viene considerato dai più come un propileo a due corpi laterali avanzanti, sul tipo dell’altare di Pergamo e di cui parte è inglobata nel Campanile.
Nei primi tempi cristiani, la zona sacra cimiteriale si trovava a mare, presso la Basilica dei SS Martiri e della Madonna del Mare e probabilmente là era conservato il venerato corpo di san Giusto, martire protettore della città.
Già nel V secolo d.C. si ritiene che ci sia stata una primitiva basilica paleocristiana sul Colle, di cui rimangono alcune tracce reimpiegate o esposte. Successivamente, verso l’anno Mille, ma le date sono tuttora controverse, sono comparse due chiese parallele, una dedicata alla Vergine ed una a san Giusto, impreziosite dalla due absidi a mosaico. La Vergine in trono, gli Apostoli e il Cristo fra san Giusto e san Servolo.All’inizio del Trecento il vescovo Rodolfo Pedrazzani unificò le due chiese eliminando un lato di ciascuna per creare una basilica unica a cui aggiunse il rosone trecentesco.
Su questa versione, le fonti concordano, tranne A. Tamaro, che sulla base di citazioni relative alla Basilica di S Maria e san Giusto, e di evidenze stilistiche dei capitelli, sostiene che la chiesa unificata sia stata molto precedente e progettata direttamente; in questo caso i capitelli son di reimpiego, molto diversi uno dall’altro e nell’absidina della chiesa di san Giusto troviamo reimpiegati capitelli portanti il monogramma del vescovo Frugifero, il primo vescovo triestino storicamente accertato.
Con la costruzione della nuova basilica venne pure costruito il campanile su cui è inserita una statua di san Giusto con in mano la città ed una piccola epigrafe in caratteri medievali. Il portale venne decorato con a stele dei Barbi e la  nuova abside venne dipinta a fresco con un’Incoronazione della Vergine fra i Santi triestini, che venne distrutta nei lavori del 1843. Frammenti sono conservati al Museo del Castello.
L’absidiola di san Giusto che ora mostra gli affreschi romanici, venne decorata con quegli affreschi di storie del santo che adesso ammiriamo esposte nel Battistero.
Tracce delle pitture della Basilica del Tre e Quattrocento si trovano ancora in Cattedrale…Fra il Trecento e il Quattrocento furono aggiunte alcune cappelle laterali dedicate rispettivamente a S. Caterina (poi san Carlo), san Servolo e S. Antonio Abate. Nel Seicento venne aggiunta la cappella di san Giuseppe, affrescata nel Settecento.
Nel 1630 il vescovo Scarlichio “ritrovò” le reliquie di san Giusto, come dice una lapide in facciata ed una per terra che la commemora un secolo dopo. Altari seicenteschi come quello nell’abside dell’altar maggiore e quello della cappella dell’Addolorata vennero rimossi nei lavori dell’Ottocento.
Nel Seicento / Settecento la cappella di san Giusto venne decorata dalle tele del Panza rappresentanti sempre il martirio del Santo.Nel 1842-43 imponenti lavori eliminarono l’antica abside affrescata per sostituirla con una a cassettoni neoclassici, vennero tolte tutte le lapidi delle tombe terragne per metterle a decorare l’esterno della chiesa.
Negli anni Trenta venne eliminata l’abside neoclassica e dopo un concorso venne scelto il progetto di Guido Cadorin. Vennero riportate in chiesa la maggior parte delle lapidi.
Sono conservati pur dei bozzetti di Guido Marussich giudicati troppo innovativi per essere inseriti nella chiesa.
Negli anni 50 venne eliminato l’altare barocco della cappella della Vergine o del santissimo – in cui sono sepolti gli ultimi vescovi triestini – altare proveniente da una chiesa veneziana e ora trasferito a san Bartolomeo a Barcola. Venne sostituito da un altare moderno opera di Marcello Mascherini a cui si deve pure il san Giusto dell’acqua con un mosaico neutro per evidenziare quello superiore. Dalla Cappella di san Giusto venne spostata una statua ottocentesca di san Giusto ad una navata.
Nell’Ottocento e nel Novecento la cappella di san Carlo è diventata la cappella di sepoltura degli ultimi Borboni Carlisti di Spagna.(Elisabetta Marcovich)

Cattedrale e Castello di san Giusto, incisione ottocentesca

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Cattedrale e Castello di san Giusto, incisione ottocentesca
La Cattedrale di san Giusto.
Al culmine del colle omonimo, dove si suppone, ma senza prove evidenti, che ci potesse essere stato un castelliere, in epoca romana si creò una sorta di Acropoli. In corrispondenza all’attuale cattedrale vi era un tempio dedicato alla Triade Capitolina (provato dalle cuspidi con le immagini simboliche di Giove Giunone e Minerva) e quello che adesso viene considerato dai più come un propileo a due corpi laterali avanzanti, sul tipo dell’altare di Pergamo e di cui parte è inglobata nel Campanile.
Nei primi tempi cristiani, la zona sacra cimiteriale si trovava a mare, presso la Basilica dei SS Martiri e della Madonna del Mare e probabilmente là era conservato il venerato corpo di san Giusto, martire protettore della città.
Già nel V secolo d.C. si ritiene che ci sia stata una primitiva basilica paleocristiana sul Colle, di cui rimangono alcune tracce reimpiegate o esposte. Successivamente, verso l’anno Mille, ma le date sono tuttora controverse, sono comparse due chiese parallele, una dedicata alla Vergine ed una a san Giusto, impreziosite dalla due absidi a mosaico. La Vergine in trono, gli Apostoli e il Cristo fra san Giusto e san Servolo.All’inizio del Trecento il vescovo Rodolfo Pedrazzani unificò le due chiese eliminando un lato di ciascuna per creare una basilica unica a cui aggiunse il rosone trecentesco.
Su questa versione, le fonti concordano, tranne A. Tamaro, che sulla base di citazioni relative alla Basilica di S Maria e san Giusto, e di evidenze stilistiche dei capitelli, sostiene che la chiesa unificata sia stata molto precedente e progettata direttamente; in questo caso i capitelli son di reimpiego, molto diversi uno dall’altro e nell’absidina della chiesa di san Giusto troviamo reimpiegati capitelli portanti il monogramma del vescovo Frugifero, il primo vescovo triestino storicamente accertato.
Con la costruzione della nuova basilica venne pure costruito il campanile su cui è inserita una statua di san Giusto con in mano la città ed una piccola epigrafe in caratteri medievali. Il portale venne decorato con a stele dei Barbi e la  nuova abside venne dipinta a fresco con un’Incoronazione della Vergine fra i Santi triestini, che venne distrutta nei lavori del 1843. Frammenti sono conservati al Museo del Castello.
L’absidiola di san Giusto che ora mostra gli affreschi romanici, venne decorata con quegli affreschi di storie del santo che adesso ammiriamo esposte nel Battistero.
Tracce delle pitture della Basilica del Tre e Quattrocento si trovano ancora in Cattedrale…Fra il Trecento e il Quattrocento furono aggiunte alcune cappelle laterali dedicate rispettivamente a S. Caterina (poi san Carlo), san Servolo e S. Antonio Abate. Nel Seicento venne aggiunta la cappella di san Giuseppe, affrescata nel Settecento.
Nel 1630 il vescovo Scarlichio “ritrovò” le reliquie di san Giusto, come dice una lapide in facciata ed una per terra che la commemora un secolo dopo. Altari seicenteschi come quello nell’abside dell’altar maggiore e quello della cappella dell’Addolorata vennero rimossi nei lavori dell’Ottocento.
Nel Seicento / Settecento la cappella di san Giusto venne decorata dalle tele del Panza rappresentanti sempre il martirio del Santo.

Nel 1842-43 imponenti lavori eliminarono l’antica abside affrescata per sostituirla con una a cassettoni neoclassici, vennero tolte tutte le lapidi delle tombe terragne per metterle a decorare l’esterno della chiesa.
Negli anni Trenta venne eliminata l’abside neoclassica e dopo un concorso venne scelto il progetto di Guido Cadorin. Vennero riportate in chiesa la maggior parte delle lapidi.
Sono conservati pur dei bozzetti di Guido Marussich giudicati troppo innovativi per essere inseriti nella chiesa.
Negli anni 50 venne eliminato l’altare barocco della cappella della Vergine o del santissimo – in cui sono sepolti gli ultimi vescovi triestini – altare proveniente da una chiesa veneziana e ora trasferito a san Bartolomeo a Barcola. Venne sostituito da un altare moderno opera di Marcello Mascherini a cui si deve pure il san Giusto dell’acqua con un mosaico neutro per evidenziare quello superiore. Dalla Cappella di san Giusto venne spostata una statua ottocentesca di san Giusto ad una navata.
Nell’Ottocento e nel Novecento la cappella di san Carlo è diventata la cappella di sepoltura degli ultimi Borboni Carlisti di Spagna.

(Elisabetta Marcovich)

Cattedrale e Castello di san Giusto, incisione ottocentesca

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San Giusto, stampa del 1860
La Cattedrale di san Giusto.
Al culmine del colle omonimo, dove si suppone, ma senza prove evidenti, che ci potesse essere stato un castelliere, in epoca romana si creò una sorta di Acropoli. In corrispondenza all’attuale cattedrale vi era un tempio dedicato alla Triade Capitolina (provato dalle cuspidi con le immagini simboliche di Giove Giunone e Minerva) e quello che adesso viene considerato dai più come un propileo a due corpi laterali avanzanti, sul tipo dell’altare di Pergamo e di cui parte è inglobata nel Campanile.
Nei primi tempi cristiani, la zona sacra cimiteriale si trovava a mare, presso la Basilica dei SS Martiri e della Madonna del Mare e probabilmente là era conservato il venerato corpo di san Giusto, martire protettore della città.
Già nel V secolo d.C. si ritiene che ci sia stata una primitiva basilica paleocristiana sul Colle, di cui rimangono alcune tracce reimpiegate o esposte. Successivamente, verso l’anno Mille, ma le date sono tuttora controverse, sono comparse due chiese parallele, una dedicata alla Vergine ed una a san Giusto, impreziosite dalla due absidi a mosaico. La Vergine in trono, gli Apostoli e il Cristo fra san Giusto e san Servolo.All’inizio del Trecento il vescovo Rodolfo Pedrazzani unificò le due chiese eliminando un lato di ciascuna per creare una basilica unica a cui aggiunse il rosone trecentesco.
Su questa versione, le fonti concordano, tranne A. Tamaro, che sulla base di citazioni relative alla Basilica di S Maria e san Giusto, e di evidenze stilistiche dei capitelli, sostiene che la chiesa unificata sia stata molto precedente e progettata direttamente; in questo caso i capitelli son di reimpiego, molto diversi uno dall’altro e nell’absidina della chiesa di san Giusto troviamo reimpiegati capitelli portanti il monogramma del vescovo Frugifero, il primo vescovo triestino storicamente accertato.
Con la costruzione della nuova basilica venne pure costruito il campanile su cui è inserita una statua di san Giusto con in mano la città ed una piccola epigrafe in caratteri medievali. Il portale venne decorato con a stele dei Barbi e la  nuova abside venne dipinta a fresco con un’Incoronazione della Vergine fra i Santi triestini, che venne distrutta nei lavori del 1843. Frammenti sono conservati al Museo del Castello.
L’absidiola di san Giusto che ora mostra gli affreschi romanici, venne decorata con quegli affreschi di storie del santo che adesso ammiriamo esposte nel Battistero.
Tracce delle pitture della Basilica del Tre e Quattrocento si trovano ancora in Cattedrale…Fra il Trecento e il Quattrocento furono aggiunte alcune cappelle laterali dedicate rispettivamente a S. Caterina (poi san Carlo), san Servolo e S. Antonio Abate. Nel Seicento venne aggiunta la cappella di san Giuseppe, affrescata nel Settecento.
Nel 1630 il vescovo Scarlichio “ritrovò” le reliquie di san Giusto, come dice una lapide in facciata ed una per terra che la commemora un secolo dopo. Altari seicenteschi come quello nell’abside dell’altar maggiore e quello della cappella dell’Addolorata vennero rimossi nei lavori dell’Ottocento.
Nel Seicento / Settecento la cappella di san Giusto venne decorata dalle tele del Panza rappresentanti sempre il martirio del Santo.

Nel 1842-43 imponenti lavori eliminarono l’antica abside affrescata per sostituirla con una a cassettoni neoclassici, vennero tolte tutte le lapidi delle tombe terragne per metterle a decorare l’esterno della chiesa.
Negli anni Trenta venne eliminata l’abside neoclassica e dopo un concorso venne scelto il progetto di Guido Cadorin. Vennero riportate in chiesa la maggior parte delle lapidi.
Sono conservati pur dei bozzetti di Guido Marussich giudicati troppo innovativi per essere inseriti nella chiesa.
Negli anni 50 venne eliminato l’altare barocco della cappella della Vergine o del santissimo – in cui sono sepolti gli ultimi vescovi triestini – altare proveniente da una chiesa veneziana e ora trasferito a san Bartolomeo a Barcola. Venne sostituito da un altare moderno opera di Marcello Mascherini a cui si deve pure il san Giusto dell’acqua con un mosaico neutro per evidenziare quello superiore. Dalla Cappella di san Giusto venne spostata una statua ottocentesca di san Giusto ad una navata.
Nell’Ottocento e nel Novecento la cappella di san Carlo è diventata la cappella di sepoltura degli ultimi Borboni Carlisti di Spagna.

(Elisabetta Marcovich)

Cattedrale di san Giusto

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Stampa ottocentesca della Cattedrale di san Giusto con ancora gli oculi sulla facciata, le pietre tombali interne già spostate all'esterno, e insoliti abiti di popolane (E. Marcovich)
La Cattedrale di san Giusto.
Al culmine del colle omonimo, dove si suppone, ma senza prove evidenti, che ci potesse essere stato un castelliere, in epoca romana si creò una sorta di Acropoli. In corrispondenza all’attuale cattedrale vi era un tempio dedicato alla Triade Capitolina (provato dalle cuspidi con le immagini simboliche di Giove Giunone e Minerva) e quello che adesso viene considerato dai più come un propileo a due corpi laterali avanzanti, sul tipo dell’altare di Pergamo e di cui parte è inglobata nel Campanile.
Nei primi tempi cristiani, la zona sacra cimiteriale si trovava a mare, presso la Basilica dei SS Martiri e della Madonna del Mare e probabilmente là era conservato il venerato corpo di san Giusto, martire protettore della città.
Già nel V secolo d.C. si ritiene che ci sia stata una primitiva basilica paleocristiana sul Colle, di cui rimangono alcune tracce reimpiegate o esposte. Successivamente, verso l’anno Mille, ma le date sono tuttora controverse, sono comparse due chiese parallele, una dedicata alla Vergine ed una a san Giusto, impreziosite dalla due absidi a mosaico. La Vergine in trono, gli Apostoli e il Cristo fra san Giusto e san Servolo.All’inizio del Trecento il vescovo Rodolfo Pedrazzani unificò le due chiese eliminando un lato di ciascuna per creare una basilica unica a cui aggiunse il rosone trecentesco.
Su questa versione, le fonti concordano, tranne A. Tamaro, che sulla base di citazioni relative alla Basilica di S Maria e san Giusto, e di evidenze stilistiche dei capitelli, sostiene che la chiesa unificata sia stata molto precedente e progettata direttamente; in questo caso i capitelli son di reimpiego, molto diversi uno dall’altro e nell’absidina della chiesa di san Giusto troviamo reimpiegati capitelli portanti il monogramma del vescovo Frugifero, il primo vescovo triestino storicamente accertato.
Con la costruzione della nuova basilica venne pure costruito il campanile su cui è inserita una statua di san Giusto con in mano la città ed una piccola epigrafe in caratteri medievali. Il portale venne decorato con a stele dei Barbi e la  nuova abside venne dipinta a fresco con un’Incoronazione della Vergine fra i Santi triestini, che venne distrutta nei lavori del 1843. Frammenti sono conservati al Museo del Castello.
L’absidiola di san Giusto che ora mostra gli affreschi romanici, venne decorata con quegli affreschi di storie del santo che adesso ammiriamo esposte nel Battistero.
Tracce delle pitture della Basilica del Tre e Quattrocento si trovano ancora in Cattedrale…Fra il Trecento e il Quattrocento furono aggiunte alcune cappelle laterali dedicate rispettivamente a S. Caterina (poi san Carlo), san Servolo e S. Antonio Abate. Nel Seicento venne aggiunta la cappella di san Giuseppe, affrescata nel Settecento.
Nel 1630 il vescovo Scarlichio “ritrovò” le reliquie di san Giusto, come dice una lapide in facciata ed una per terra che la commemora un secolo dopo. Altari seicenteschi come quello nell’abside dell’altar maggiore e quello della cappella dell’Addolorata vennero rimossi nei lavori dell’Ottocento.
Nel Seicento / Settecento la cappella di san Giusto venne decorata dalle tele del Panza rappresentanti sempre il martirio del Santo.Nel 1842-43 imponenti lavori eliminarono l’antica abside affrescata per sostituirla con una a cassettoni neoclassici, vennero tolte tutte le lapidi delle tombe terragne per metterle a decorare l’esterno della chiesa.
Negli anni Trenta venne eliminata l’abside neoclassica e dopo un concorso venne scelto il progetto di Guido Cadorin. Vennero riportate in chiesa la maggior parte delle lapidi.
Sono conservati pur dei bozzetti di Guido Marussich giudicati troppo innovativi per essere inseriti nella chiesa.
Negli anni 50 venne eliminato l’altare barocco della cappella della Vergine o del santissimo – in cui sono sepolti gli ultimi vescovi triestini – altare proveniente da una chiesa veneziana e ora trasferito a san Bartolomeo a Barcola. Venne sostituito da un altare moderno opera di Marcello Mascherini a cui si deve pure il san Giusto dell’acqua con un mosaico neutro per evidenziare quello superiore. Dalla Cappella di san Giusto venne spostata una statua ottocentesca di san Giusto ad una navata.
Nell’Ottocento e nel Novecento la cappella di san Carlo è diventata la cappella di sepoltura degli ultimi Borboni Carlisti di Spagna.

(Elisabetta Marcovich)

Cattedrale e Castello di san Giusto, incisione ottocentesca

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Sul nuovo piazzale di San Giusto, allargato nel 1840, Giacomo Sinigoi esercita la propria arte di cordaiuolo, come si può vedere in questa incisione. Le corde, generalmente, venivano prodotte sulle strade a cielo aperto.La colonna venne messa nel nel 1843, e nella stampa ancora non è rappresentata. (M. Tauceri)
La Cattedrale di san Giusto.
Al culmine del colle omonimo, dove si suppone, ma senza prove evidenti, che ci potesse essere stato un castelliere, in epoca romana si creò una sorta di Acropoli. In corrispondenza all’attuale cattedrale vi era un tempio dedicato alla Triade Capitolina (provato dalle cuspidi con le immagini simboliche di Giove Giunone e Minerva) e quello che adesso viene considerato dai più come un propileo a due corpi laterali avanzanti, sul tipo dell’altare di Pergamo e di cui parte è inglobata nel Campanile.
Nei primi tempi cristiani, la zona sacra cimiteriale si trovava a mare, presso la Basilica dei SS Martiri e della Madonna del Mare e probabilmente là era conservato il venerato corpo di san Giusto, martire protettore della città.
Già nel V secolo d.C. si ritiene che ci sia stata una primitiva basilica paleocristiana sul Colle, di cui rimangono alcune tracce reimpiegate o esposte. Successivamente, verso l’anno Mille, ma le date sono tuttora controverse, sono comparse due chiese parallele, una dedicata alla Vergine ed una a san Giusto, impreziosite dalla due absidi a mosaico. La Vergine in trono, gli Apostoli e il Cristo fra san Giusto e san Servolo.

All’inizio del Trecento il vescovo Rodolfo Pedrazzani unificò le due chiese eliminando un lato di ciascuna per creare una basilica unica a cui aggiunse il rosone trecentesco.
Su questa versione, le fonti concordano, tranne A. Tamaro, che sulla base di citazioni relative alla Basilica di S Maria e san Giusto, e di evidenze stilistiche dei capitelli, sostiene che la chiesa unificata sia stata molto precedente e progettata direttamente; in questo caso i capitelli son di reimpiego, molto diversi uno dall’altro e nell’absidina della chiesa di san Giusto troviamo reimpiegati capitelli portanti il monogramma del vescovo Frugifero, il primo vescovo triestino storicamente accertato.
Con la costruzione della nuova basilica venne pure costruito il campanile su cui è inserita una statua di san Giusto con in mano la città ed una piccola epigrafe in caratteri medievali. Il portale venne decorato con a stele dei Barbi e la  nuova abside venne dipinta a fresco con un’Incoronazione della Vergine fra i Santi triestini, che venne distrutta nei lavori del 1843. Frammenti sono conservati al Museo del Castello.
L’absidiola di san Giusto che ora mostra gli affreschi romanici, venne decorata con quegli affreschi di storie del santo che adesso ammiriamo esposte nel Battistero.
Tracce delle pitture della Basilica del Tre e Quattrocento si trovano ancora in Cattedrale…

Fra il Trecento e il Quattrocento furono aggiunte alcune cappelle laterali dedicate rispettivamente a S. Caterina (poi san Carlo), san Servolo e S. Antonio Abate. Nel Seicento venne aggiunta la cappella di san Giuseppe, affrescata nel Settecento.
Nel 1630 il vescovo Scarlichio “ritrovò” le reliquie di san Giusto, come dice una lapide in facciata ed una per terra che la commemora un secolo dopo. Altari seicenteschi come quello nell’abside dell’altar maggiore e quello della cappella dell’Addolorata vennero rimossi nei lavori dell’Ottocento.
Nel Seicento / Settecento la cappella di san Giusto venne decorata dalle tele del Panza rappresentanti sempre il martirio del Santo.

Nel 1842-43 imponenti lavori eliminarono l’antica abside affrescata per sostituirla con una a cassettoni neoclassici, vennero tolte tutte le lapidi delle tombe terragne per metterle a decorare l’esterno della chiesa.
Negli anni Trenta venne eliminata l’abside neoclassica e dopo un concorso venne scelto il progetto di Guido Cadorin. Vennero riportate in chiesa la maggior parte delle lapidi.
Sono conservati pur dei bozzetti di Guido Marussich giudicati troppo innovativi per essere inseriti nella chiesa.
Negli anni 50 venne eliminato l’altare barocco della cappella della Vergine o del santissimo – in cui sono sepolti gli ultimi vescovi triestini – altare proveniente da una chiesa veneziana e ora trasferito a san Bartolomeo a Barcola. Venne sostituito da un altare moderno opera di Marcello Mascherini a cui si deve pure il san Giusto dell’acqua con un mosaico neutro per evidenziare quello superiore. Dalla Cappella di san Giusto venne spostata una statua ottocentesca di san Giusto ad una navata.
Nell’Ottocento e nel Novecento la cappella di san Carlo è diventata la cappella di sepoltura degli ultimi Borboni Carlisti di Spagna.

(Elisabetta Marcovich)

I primi abitanti di Grignano vedono passare la nave degli Argonauti

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Cesare Dell'Acqua (Pirano d'Istria 1821 - Bruxelles 1905). 

" I primi abitanti di Grignano vedono passare la nave degli Argonauti", 1867. Olio su tela. Castello di Miramare.



Secondo Plinio, gli Argonauti, dopo aver attraversato il Danubio e la Sava, arrivarono alle Alpi Giulie, dove avrebbero trasportato sulle spalle la loro nave fino a giungere alle foci del Timavo. Nel dipinto, Cesare Dell’Acqua rappresenta gli antichi abitanti di Grignano, raffigurati nell’atto di salutare, con rametti di alloro, la nave degli Argonauti che solca le acque del golfo triestino.
Il dipinto venne commissionato al pittore, insieme alla tela che raffigura la partenza di Massimiliano I per il Messico, dallo stesso neo imperatore del Messico.

Veduta generale della città e del porto di Trieste, fine ‘700

Veduta generale della città e del porto di Trieste, fine '700. Coll. Dino Cafagna

Manca ancora la costruzione della lanterna (1833); il colle di Sant’Andrea è ancora spoglio (senza ville); le rive della sacchetta erano sabbiose e permettevano di tirare le barche dei pescatori a secco; numerosi e lunghi erano i magazzini costruiti sulle rive.

1) Il molo San Carlo; 2) l’entrata del Canal Grande; 3) il torrente Grande, che scorre ancora all’aperto e che sfocia in mare; 4) i due campanili della primitiva chiesa di San Spiridione di forma moscovita (vennero abbattuti nel 1850 perché pericolanti a causa della cedevolezza del terreno).

Era severamente vietato, da secoli, costruire attorno le strutture militari, in questo caso il castello di San Giusto, qualsiasi abitazione o manufatto per ovvi motivi militari, cioè per non impedire agli occupanti la visuale del nemico che si avvicina; con l’andar del tempo i canoni persero la loro importanza difensiva, per cui vennero utilizzati, come in questo caso, per sparare a salve e salutare così i velieri che arrivavano in porto con a bordo personalità importanti (come si vede tale saluto veniva corrisposto). (Dino Cafagna)

Trieste – Salita di Gretta

 

Trieste, salita di Gretta. Foto collezione Dino Cafagna
 
Presso la salita di Gretta si trovava un piccolo edificio che fu costruito nel 1862 ed era una grossa cisterna o serbatoio d’acqua dell’acquedotto di Aurisina, ad uso della stazione ferroviaria, da cui il nome della vicina via al “Cisternone”.
Nel 1902 l’Acquedotto fu ampliato con la costruzione di un secondo serbatoio (questo sotto) a Gretta (alto di Gretta, capace di 3.000 me) a m 120 sul livello del mare per rifornire la zona alta della città e poi nel 1907 attivato pure per rifornire l’altipiano. (Dino Cafagna)
 

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Trieste, via Ovidio – Villa Geiringer

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Trieste, villa (o castelletto) dell'ingegnere Eugenio Geiringer.  Foto Paolo Carbonaio
Trieste: Via Ovidio 49.
La villa (o castelletto) dell’ingegnere e mecenate Eugenio Geiringer (1849-1904) progettata e realizzata nel 1896 per la sua famiglia. Fu ceduta nel 1980 dagli eredi al Monastero di San Cipriano. Durante l’occupazione tedesca di Trieste della Seconda Guerra Mondiale fu sede del comando generale tedesco. Ora è sede dell’European School of Trieste. Accanto al castelletto sorge la Vedetta Mafalda fatta costruire dallo stesso ingegner Geiringer in onore della moglie innamorata di Trieste e dello splendido panorama che da lassù offre il Golfo in ogni stagione. Una leggenda racconta che la gentildonna scrisse nel proprio testamento la volontà d’essere sepolta alla base della vedetta, ma non è certo che gli eredi abbiano ottemperato alle disposizioni testamentarie.

Trieste – Panorama con il bagno Ferroviario

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Trieste, Panorama con il bagno Ferroviario. Foto Paolo Carbonaio

Stabilimenti balneari della Riviera di Barcola


 

BAGNO FERROVIARIO
Nasce nel 1925 come colonia marina. Fino agli anni ’70 era riservato ai dipendenti delle Ferrovie dello Stato e alle loro famiglie.


“Lo stabilimento balneare è situato in viale Miramare n.30 ed ha la fermata degli autobus immediatamente all’entrata (all’altezza del semaforo). Offre una piccola spiaggia di ghiaia per i bambini, una zona della piattaforma per tuffi nonché la spiaggia che, come in quasi tutti i bagni di Trieste, è costruita in cemento. Nello stabilimento vi sono spogliatoi e cabine per le varie esigenze, vi è una zona bar – ristorazione sempre aperta durante la stagione e dotata di una vasta tettoia che consente di stare comodamente all’ombra. L’accesso è consentito ai soci D.L.F.”  (Dino Cafagna)

Nel 1925 nacque il “Circolo Marina Mercantile” fondato da un gruppo di capitani marittimi con il Dopolavoro Interaziendale Marina Mercantile D.I.M.M.

EXCELSIOR
Nel 1886 la famiglia Cesare di Salvore, che possedeva dei terreni a Barcola, ottenne la concessione della spiaggia, sorse così il primo nucleo del futuro stabilimento balneare Excelsior. Nel 1890 incaricò l’architetto Edoardo Tureck della costruzione del palazzetto neogotico, lo stesso architetto ampliò e dotò di attrezzature l’impianto balneare. Nel 1895 verrà edificato l’omonimo albergo dall’altra parte della strada. Lo stabilimento balneare, negli anni successivi passerà ad altri proprietari, sarà alzato e più volte ampliato. Nel 1909 verrà dotato di un teatrino e di un ristorante, l’anno seguente di una pista di pattinaggio, divenendo un ritrovo alla moda molto frequentato. Oggi la struttura balneare è stata trasformata in appartamenti con spiaggia privata.

GANZONI
Si sa poco su il Bagno GANZONI, sorgeva accanto al castelletto della famiglia Cesare era noto ai Barcolani come “bagno Megari” dall’omonima distilleria. Ebbe vita breve, in quanto venne assorbito dallo stabilimento balneare Excelsior.

CEDAS
Con la costruzione della nuova strada costiera (1921-28) venne aperto nel 1926 il bagno popolare CEDAS, nel 1934 fu ingrandito con l’aggiunta di un padiglione riservato agli uomini. Nonostante questo molti bagnanti continuarono ad “andar sulla scoiera”, dove al tempo era vietata la balneazione. Lo stabilimento balneare era molto esteso e circondato su tre lati da un muro di cinta; la parte più alta di questo chiudeva la casa del custode e due terrazze dove si prendeva il sole. Era un bagno comunale, e non si pagava alcun ingresso. Per la cura dei bagni di mare durante il periodo invernale, l’ufficio tecnico rilasciava dei permessi, nei quali veniva specificato che si sollevava il comune per eventuali incidenti. Il permesso valeva sia per il bagno alla Lanterna (“Pedocin”) che per i bagni comunali a Barcola . Il 4 novembre del 1966, una violenta mareggiata spazzò via gran parte delle strutture del Cedas, lo stabilimento non fu più ricostruito, i muri che lo dividevano dalla strada non furono più rialzati. Venne lasciata la piattaforma con le docce, e restaurarono le scale che portavano al mare.

TOPOLINI                                                                                         Il Cedas si rivelò insufficiente per soddisfare la voglia di mare dei triestini, nel 1935 il comune fece costruire quattro padiglioni (due per gli uomini e due per le donne), con terrazze semicircolari. Questi nuovi stabilimenti furono chiamati “TOPOLINI”. Vennero costruiti al di sotto del livello stradale, in modo da non impedire a chi transitava sulla strada la visuale del golfo. In quell’occasione venne istituito un servizio di autobus per migliorare i collegamenti con i bagni comunali; con un biglietto unico veniva offerto un servizio combinato tram più autobus. Negli anni successivi furono costruiti altri padiglioni e vennero fatte altre modifiche, trasformando la riviera barcolana, sino a Miramàr, in uno spazio balneare pubblico gratuito. Riguardo l’origine del nome si trovano due ipotesi, potrebbe derivare da “Topo”, un’ imbarcazione originaria della laguna veneta, ma molto usata nel mare di “Barcola, oppure dal fatto che questi stabilimenti balneari sono costituiti da dieci terrazzamenti semicircolari accoppiati a due a due e dall’alto ricordano la forma delle orecchie di Miky Mouse, il nostro Topolino.

BAGNO STICCO Il Bagno Miramare Castello è conosciuto da tutti come Bagno Sticco dal nome del suo fondatore, Antonio Sticco, che lo inaugurò nel 1955.

(Margherita Tauceri)

Trieste – Piazza Mazzini (Piazza della Repubblica)

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Trieste - Piazza Mazzini (Piazza della Repubblica)
(Google Maps)
“Via Nuova” – “Via Mazzini”
La prima denominazione fu “Contrada Lunga” in quanto aveva una lunghezza maggiore di ogni altra strada dei dintorni, poi “Contrada Nuova” e “Via Nuova“, perché a quel tempo finiva in “piazza Nuova” (piazza della Repubblica), in quanto sia il tratto di via che conduceva in piazza Goldoni che le via laterali erano occupati da orti e campagne. Per breve tempo, durante il primo conflitto mondiale, ebbe il nome dell’imperatrice Maria Teresa, dal 28.3.1919 Via Giuseppe Mazzini.
“Piazza della Repubblica”
Questa piazza ebbe un numero notevole di nomi:
– Piazza San Nicolò – dal nome della chiesetta di San Nicolò dei Marinai menzionata già nel 1338;
– 1780 piazza Gadolla o Gadola, in riferimento al palazzo settecentesco che esisteva al posto dell’attuale palazzo della Banca Commerciale Italiana;
– dal 1870 Piazza Nuova o Nova perché era attraversata e rappresentava uno slargo della Via Nuova (via Mazzini)
Piazza XXX Ottobre e piazza Mazzini, questi nomi si trovano soprattutto sulle cartoline, nei testi consultati non ho trovato alcun riferimento;
– dal 1954- Piazza della Repubblica, dopo il ricongiungimento di Trieste all’Italia.
– dal 1954 Piazza della Repubblica, dopo il ricongiungimento di Trieste all’Italia.Nella piazza si trovava il mercato di frutta, che avrebbe dovuto essere trasferito in Ponterosso già nel 1859, in realtà rimase fino al 1871, continuarono invece la loro attività i venditori di cambricchi (tele tessute a Cambrai in Fiandra). Per diversi anni si tenne la fiera di San Nicolò, che poi fu trasferita in via san Caterina.
Sulla piazza si apriva una libreria intestata al friulano Chiopris, che i triestini pronunciavano Ciopris.

Palazzo Duma
Dove oggi sorge la sede della Banca Commerciale Italiana si trovava il palazzo Duma Il settecentesco edificio, dopo la morte in povertà del Gadolla, cambiò tante volte i proprietari: nel 1808 Gerolamo Bonaparte, ex re di Westfalia, nel 1818 la sorella Elisa Baciocchi Bonaparte, nel 1826 il commerciante Carlo Cristiano Schwahhofer. Rimaneggiato nel 1828 dall’architetto Antonio Buttazzoni, che modificò l’ingresso con quattro colonne doriche a sostegno di un balcone al primo piano. Nel 1847 venne acquistato dal greco Demetrio Duma ed infine fu demolito nel 1904, quando era sede della Società Operaia Triestina.


Palazzo Creditanstalt
Dopo una complessa vicenda che comprende l’individuazione del sito e un fitto carteggio, iniziato verso la fine del 1907, fra lo Stabilimento austriaco di credito per il commercio e l’industria di Trieste e il Magistrato Civico, relativo ai permessi ed i costi dell’area sulla quale costruire la nuova sede, inizia la costruzione del palazzo su disegno di Enrico Nordio. In agosto del 1908 viene rilasciata l’abitabilità, vengono installati gli ascensori elettrici e nel 1909 il monumentale palazzo del Creditanstalt è concluso. Dopo il primo conflitto mondiale divenne sede della Banca Commerciale Triestina, e nel 1932 della Banca Commerciale Italiana che assorbì la Banca Commerciale Triestina.


Palazzo della Riunione Adriatica di Sicurtà (R.A.S.)             Già nel 1909 la grande compagnia assicurativa vide la necessità di una nuova sede in ragione delle accresciute esigenze. Tale edificio avrebbe dovuto ospitare gli uffici della compagnia, delle abitazioni civili e delle zone destinate a negozi.

Individuata l’area vennero acquistate e demolite le case: Bardeau, Prandi, Sartorio e Treves. Venne bandito un concorso al quale furono invitati illustri architetti, i lavori vennero selezionati da una prestigiosa giuria che scelse i progetti di Arduino e Ruggero Berlam, degli architetti Ignác Alpar di Budapest e Giacomo Zamattio, non riuscendo a concludere gli accordi con questi ultimi, l’incarico venne affidato ai Berlam.
L’imponente edificio venne costruito dal 1911 al 1914, in stile eclettico, nella struttura predomina il gusto rinascimentale. La facciata in pietra d’Istria è decorata con importanti sculture, le figure che contornano l’arco dell’ingresso sono scolpite da Giovanni Mayer, sulle colonne binate ai lati del balcone sono poste le sculture di Gianni Marin.
Dopo la galleria d’ingresso protetta, da una preziosa cancellata, si passa al sontuoso atrio, dove ha sede la fontana opera del Marin, con il gruppo scultoreo realizzato con marmi policromi raffigurante Mercurio assieme a tre leoni.
L’inaugurazione del palazzo è ricordata in una lapide all’ingresso.
In data 3 dicembre 1913 nel palazzo è stato aperto con l’ingresso in via Sant’Antonio la sala cinematografica “Ideal”.

(Margherita Tauceri)

Testi consultati:
Antonio Trampus, Vie e Piazze di Trieste Moderna;
Silvio Rutteri, Trieste storia ed arte tra vie e piazze;
F. Zubini, Borgo Teresiano;
Trieste 1872-1917, Guida all’Architettura a cura di Federica Rovello.

P.S.: All’angolo con via Dante Alighieri è situato uno dei più importanti esempi di Liberty triestino: il palazzo Terni-Smolars, ultimato nel 1907 ad opera di Romeo Depaoli.

Trieste – Piazza Maria Teresa (Piazza della Repubblica)

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Piazza Maria Teresa (Piazza della Repubblica)
(Google Maps)
“Via Nuova” – “Via Mazzini”
La prima denominazione fu “Contrada Lunga” in quanto aveva una lunghezza maggiore di ogni altra strada dei dintorni, poi “Contrada Nuova” e “Via Nuova“, perché a quel tempo finiva in “piazza Nuova” (piazza della Repubblica), in quanto sia il tratto di via che conduceva in piazza Goldoni che le via laterali erano occupati da orti e campagne. Per breve tempo, durante il primo conflitto mondiale, ebbe il nome dell’imperatrice Maria Teresa, dal 28.3.1919 Via Giuseppe Mazzini.
“Piazza della Repubblica”
Questa piazza ebbe un numero notevole di nomi:
– Piazza San Nicolò – dal nome della chiesetta di San Nicolò dei Marinai menzionata già nel 1338;
– 1780 piazza Gadolla o Gadola, in riferimento al palazzo settecentesco che esisteva al posto dell’attuale palazzo della Banca Commerciale Italiana;
– dal 1870 Piazza Nuova o Nova perché era attraversata e rappresentava uno slargo della Via Nuova (via Mazzini)
Piazza XXX Ottobre e piazza Mazzini, questi nomi si trovano soprattutto sulle cartoline, nei testi consultati non ho trovato alcun riferimento;
– dal 1954 Piazza della Repubblica, dopo il ricongiungimento di Trieste all’Italia.Nella piazza si trovava il mercato di frutta, che avrebbe dovuto essere trasferito in Ponterosso già nel 1859, in realtà rimase fino al 1871, continuarono invece la loro attività i venditori di cambricchi (tele tessute a Cambrai in Fiandra). Per diversi anni si tenne la fiera di San Nicolò, che poi fu trasferita in via san Caterina.
Sulla piazza si apriva una libreria intestata al friulano Chiopris, che i triestini pronunciavano Ciopris.

Palazzo Duma
Dove oggi sorge la sede della Banca Commerciale Italiana si trovava il palazzo Duma Il settecentesco edificio, dopo la morte in povertà del Gadolla, cambiò tante volte i proprietari: nel 1808 Gerolamo Bonaparte, ex re di Westfalia, nel 1818 la sorella Elisa Baciocchi Bonaparte, nel 1826 il commerciante Carlo Cristiano Schwahhofer. Rimaneggiato nel 1828 dall’architetto Antonio Buttazzoni, che modificò l’ingresso con quattro colonne doriche a sostegno di un balcone al primo piano. Nel 1847 venne acquistato dal greco Demetrio Duma ed infine fu demolito nel 1904, quando era sede della Società Operaia Triestina.


Palazzo Creditanstalt
Dopo una complessa vicenda che comprende l’individuazione del sito e un fitto carteggio, iniziato verso la fine del 1907, fra lo Stabilimento austriaco di credito per il commercio e l’industria di Trieste e il Magistrato Civico, relativo ai permessi ed i costi dell’area sulla quale costruire la nuova sede, inizia la costruzione del palazzo su disegno di Enrico Nordio. In agosto del 1908 viene rilasciata l’abitabilità, vengono installati gli ascensori elettrici e nel 1909 il monumentale palazzo del Creditanstalt è concluso. Dopo il primo conflitto mondiale divenne sede della Banca Commerciale Triestina, e nel 1932 della Banca Commerciale Italiana che assorbì la Banca Commerciale Triestina.


Palazzo della Riunione Adriatica di Sicurtà (R.A.S.)             Già nel 1909 la grande compagnia assicurativa vide la necessità di una nuova sede in ragione delle accresciute esigenze. Tale edificio avrebbe dovuto ospitare gli uffici della compagnia, delle abitazioni civili e delle zone destinate a negozi.

Individuata l’area vennero acquistate e demolite le case: Bardeau, Prandi, Sartorio e Treves. Venne bandito un concorso al quale furono invitati illustri architetti, i lavori vennero selezionati da una prestigiosa giuria che scelse i progetti di Arduino e Ruggero Berlam, degli architetti Ignác Alpar di Budapest e Giacomo Zamattio, non riuscendo a concludere gli accordi con questi ultimi, l’incarico venne affidato ai Berlam.
L’imponente edificio venne costruito dal 1911 al 1914, in stile eclettico, nella struttura predomina il gusto rinascimentale. La facciata in pietra d’Istria è decorata con importanti sculture, le figure che contornano l’arco dell’ingresso sono scolpite da Giovanni Mayer, sulle colonne binate ai lati del balcone sono poste le sculture di Gianni Marin.
Dopo la galleria d’ingresso protetta, da una preziosa cancellata, si passa al sontuoso atrio, dove ha sede la fontana opera del Marin, con il gruppo scultoreo realizzato con marmi policromi raffigurante Mercurio assieme a tre leoni.
L’inaugurazione del palazzo è ricordata in una lapide all’ingresso.
In data 3 dicembre 1913 nel palazzo è stato aperto con l’ingresso in via Sant’Antonio la sala cinematografica “Ideal”.

(Margherita Tauceri)

Testi consultati:
Antonio Trampus, Vie e Piazze di Trieste Moderna;
Silvio Rutteri, Trieste storia ed arte tra vie e piazze;
F. Zubini, Borgo Teresiano;
Trieste 1872-1917, Guida all’Architettura a cura di Federica Rovello.

P.S.: All’angolo con via Dante Alighieri è situato uno dei più importanti esempi di Liberty triestino: il palazzo Terni-Smolars, ultimato nel 1907 ad opera di Romeo Depaoli.

Via Mazzini, Piazza della Repubblica – Palazzo della R.A.S.

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Via Mazzini, Piazza della Repubblica - Ingresso del Palazzo della R.A.S.
(Google Maps)
“Via Nuova” – “Via Mazzini”
La prima denominazione fu “Contrada Lunga” in quanto aveva una lunghezza maggiore di ogni altra strada dei dintorni, poi “Contrada Nuova” e “Via Nuova“, perché a quel tempo finiva in “piazza Nuova” (piazza della Repubblica), in quanto sia il tratto di via che conduceva in piazza Goldoni che le via laterali erano occupati da orti e campagne. Per breve tempo, durante il primo conflitto mondiale, ebbe il nome dell’imperatrice Maria Teresa, dal 28.3.1919 Via Giuseppe Mazzini.
“Piazza della Repubblica”
Questa piazza ebbe un numero notevole di nomi:
– Piazza San Nicolò – dal nome della chiesetta di San Nicolò dei Marinai menzionata già nel 1338;
– 1780 piazza Gadolla o Gadola, in riferimento al palazzo settecentesco che esisteva al posto dell’attuale palazzo della Banca Commerciale Italiana;
– dal 1870 Piazza Nuova o Nova perché era attraversata e rappresentava uno slargo della Via Nuova (via Mazzini)
Piazza XXX Ottobre e piazza Mazzini, questi nomi si trovano soprattutto sulle cartoline, nei testi consultati non ho trovato alcun riferimento;
– dal 1954 Piazza della Repubblica, dopo il ricongiungimento di Trieste all’Italia.Nella piazza si trovava il mercato di frutta, che avrebbe dovuto essere trasferito in Ponterosso già nel 1859, in realtà rimase fino al 1871, continuarono invece la loro attività i venditori di cambricchi (tele tessute a Cambrai in Fiandra). Per diversi anni si tenne la fiera di San Nicolò, che poi fu trasferita in via san Caterina.
Sulla piazza si apriva una libreria intestata al friulano Chiopris, che i triestini pronunciavano Ciopris.

Palazzo Duma
Dove oggi sorge la sede della Banca Commerciale Italiana si trovava il palazzo Duma Il settecentesco edificio, dopo la morte in povertà del Gadolla, cambiò tante volte i proprietari: nel 1808 Gerolamo Bonaparte, ex re di Westfalia, nel 1818 la sorella Elisa Baciocchi Bonaparte, nel 1826 il commerciante Carlo Cristiano Schwahhofer. Rimaneggiato nel 1828 dall’architetto Antonio Buttazzoni, che modificò l’ingresso con quattro colonne doriche a sostegno di un balcone al primo piano. Nel 1847 venne acquistato dal greco Demetrio Duma ed infine fu demolito nel 1904, quando era sede della Società Operaia Triestina.


Palazzo Creditanstalt
Dopo una complessa vicenda che comprende l’individuazione del sito e un fitto carteggio, iniziato verso la fine del 1907, fra lo Stabilimento austriaco di credito per il commercio e l’industria di Trieste e il Magistrato Civico, relativo ai permessi ed i costi dell’area sulla quale costruire la nuova sede, inizia la costruzione del palazzo su disegno di Enrico Nordio. In agosto del 1908 viene rilasciata l’abitabilità, vengono installati gli ascensori elettrici e nel 1909 il monumentale palazzo del Creditanstalt è concluso. Dopo il primo conflitto mondiale divenne sede della Banca Commerciale Triestina, e nel 1932 della Banca Commerciale Italiana che assorbì la Banca Commerciale Triestina.


Palazzo della Riunione Adriatica di Sicurtà (R.A.S.)             Già nel 1909 la grande compagnia assicurativa vide la necessità di una nuova sede in ragione delle accresciute esigenze. Tale edificio avrebbe dovuto ospitare gli uffici della compagnia, delle abitazioni civili e delle zone destinate a negozi.

Individuata l’area vennero acquistate e demolite le case: Bardeau, Prandi, Sartorio e Treves. Venne bandito un concorso al quale furono invitati illustri architetti, i lavori vennero selezionati da una prestigiosa giuria che scelse i progetti di Arduino e Ruggero Berlam, degli architetti Ignác Alpar di Budapest e Giacomo Zamattio, non riuscendo a concludere gli accordi con questi ultimi, l’incarico venne affidato ai Berlam.
L’imponente edificio venne costruito dal 1911 al 1914, in stile eclettico, nella struttura predomina il gusto rinascimentale. La facciata in pietra d’Istria è decorata con importanti sculture, le figure che contornano l’arco dell’ingresso sono scolpite da Giovanni Mayer, sulle colonne binate ai lati del balcone sono poste le sculture di Gianni Marin.
Dopo la galleria d’ingresso protetta, da una preziosa cancellata, si passa al sontuoso atrio, dove ha sede la fontana opera del Marin, con il gruppo scultoreo realizzato con marmi policromi raffigurante Mercurio assieme a tre leoni.
L’inaugurazione del palazzo è ricordata in una lapide all’ingresso.
In data 3 dicembre 1913 nel palazzo è stato aperto con l’ingresso in via Sant’Antonio la sala cinematografica “Ideal”.

(Margherita Tauceri)

Testi consultati:
Antonio Trampus, Vie e Piazze di Trieste Moderna;
Silvio Rutteri, Trieste storia ed arte tra vie e piazze;
F. Zubini, Borgo Teresiano;
Trieste 1872-1917, Guida all’Architettura a cura di Federica Rovello.

P.S.: All’angolo con via Dante Alighieri è situato uno dei più importanti esempi di Liberty triestino: il palazzo Terni-Smolars, ultimato nel 1907 ad opera di Romeo Depaoli.

Piazza della Repubblica – Palazzo della R.A.S.

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Piazza della Repubblica - Palazzo della R.A.S.
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“Via Nuova” – “Via Mazzini”
La prima denominazione fu “Contrada Lunga” in quanto aveva una lunghezza maggiore di ogni altra strada dei dintorni, poi “Contrada Nuova” e “Via Nuova“, perché a quel tempo finiva in “piazza Nuova” (piazza della Repubblica), in quanto sia il tratto di via che conduceva in piazza Goldoni che le via laterali erano occupati da orti e campagne. Per breve tempo, durante il primo conflitto mondiale, ebbe il nome dell’imperatrice Maria Teresa, dal 28.3.1919 Via Giuseppe Mazzini.
“Piazza della Repubblica”
Questa piazza ebbe un numero notevole di nomi:
– Piazza San Nicolò – dal nome della chiesetta di San Nicolò dei Marinai menzionata già nel 1338;
– 1780 piazza Gadolla o Gadola, in riferimento al palazzo settecentesco che esisteva al posto dell’attuale palazzo della Banca Commerciale Italiana;
– dal 1870 Piazza Nuova o Nova perché era attraversata e rappresentava uno slargo della Via Nuova (via Mazzini)
Piazza XXX Ottobre e piazza Mazzini, questi nomi si trovano soprattutto sulle cartoline, nei testi consultati non ho trovato alcun riferimento;
– dal 1954 Piazza della Repubblica, dopo il ricongiungimento di Trieste all’Italia.Nella piazza si trovava il mercato di frutta, che avrebbe dovuto essere trasferito in Ponterosso già nel 1859, in realtà rimase fino al 1871, continuarono invece la loro attività i venditori di cambricchi (tele tessute a Cambrai in Fiandra). Per diversi anni si tenne la fiera di San Nicolò, che poi fu trasferita in via san Caterina.
Sulla piazza si apriva una libreria intestata al friulano Chiopris, che i triestini pronunciavano Ciopris.

Palazzo Duma
Dove oggi sorge la sede della Banca Commerciale Italiana si trovava il palazzo Duma Il settecentesco edificio, dopo la morte in povertà del Gadolla, cambiò tante volte i proprietari: nel 1808 Gerolamo Bonaparte, ex re di Westfalia, nel 1818 la sorella Elisa Baciocchi Bonaparte, nel 1826 il commerciante Carlo Cristiano Schwahhofer. Rimaneggiato nel 1828 dall’architetto Antonio Buttazzoni, che modificò l’ingresso con quattro colonne doriche a sostegno di un balcone al primo piano. Nel 1847 venne acquistato dal greco Demetrio Duma ed infine fu demolito nel 1904, quando era sede della Società Operaia Triestina.


Palazzo Creditanstalt
Dopo una complessa vicenda che comprende l’individuazione del sito e un fitto carteggio, iniziato verso la fine del 1907, fra lo Stabilimento austriaco di credito per il commercio e l’industria di Trieste e il Magistrato Civico, relativo ai permessi ed i costi dell’area sulla quale costruire la nuova sede, inizia la costruzione del palazzo su disegno di Enrico Nordio. In agosto del 1908 viene rilasciata l’abitabilità, vengono installati gli ascensori elettrici e nel 1909 il monumentale palazzo del Creditanstalt è concluso. Dopo il primo conflitto mondiale divenne sede della Banca Commerciale Triestina, e nel 1932 della Banca Commerciale Italiana che assorbì la Banca Commerciale Triestina.


Palazzo della Riunione Adriatica di Sicurtà (R.A.S.)             Già nel 1909 la grande compagnia assicurativa vide la necessità di una nuova sede in ragione delle accresciute esigenze. Tale edificio avrebbe dovuto ospitare gli uffici della compagnia, delle abitazioni civili e delle zone destinate a negozi.

Individuata l’area vennero acquistate e demolite le case: Bardeau, Prandi, Sartorio e Treves. Venne bandito un concorso al quale furono invitati illustri architetti, i lavori vennero selezionati da una prestigiosa giuria che scelse i progetti di Arduino e Ruggero Berlam, degli architetti Ignác Alpar di Budapest e Giacomo Zamattio, non riuscendo a concludere gli accordi con questi ultimi, l’incarico venne affidato ai Berlam.
L’imponente edificio venne costruito dal 1911 al 1914, in stile eclettico, nella struttura predomina il gusto rinascimentale. La facciata in pietra d’Istria è decorata con importanti sculture, le figure che contornano l’arco dell’ingresso sono scolpite da Giovanni Mayer, sulle colonne binate ai lati del balcone sono poste le sculture di Gianni Marin.
Dopo la galleria d’ingresso protetta, da una preziosa cancellata, si passa al sontuoso atrio, dove ha sede la fontana opera del Marin, con il gruppo scultoreo realizzato con marmi policromi raffigurante Mercurio assieme a tre leoni.
L’inaugurazione del palazzo è ricordata in una lapide all’ingresso.
In data 3 dicembre 1913 nel palazzo è stato aperto con l’ingresso in via Sant’Antonio la sala cinematografica “Ideal”.

(Margherita Tauceri)

Testi consultati:
Antonio Trampus, Vie e Piazze di Trieste Moderna;
Silvio Rutteri, Trieste storia ed arte tra vie e piazze;
F. Zubini, Borgo Teresiano;
Trieste 1872-1917, Guida all’Architettura a cura di Federica Rovello.

P.S.: All’angolo con via Dante Alighieri è situato uno dei più importanti esempi di Liberty triestino: il palazzo Terni-Smolars, ultimato nel 1907 ad opera di Romeo Depaoli.

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Piazza Nuova (Piazza della Repubblica)

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Piazza Nuova (Piazza della Repubblica)
“Via Nuova” – “Via Mazzini”
La prima denominazione fu “Contrada Lunga” in quanto aveva una lunghezza maggiore di ogni altra strada dei dintorni, poi “Contrada Nuova” e “Via Nuova“, perché a quel tempo finiva in “piazza Nuova” (piazza della Repubblica), in quanto sia il tratto di via che conduceva in piazza Goldoni che le via laterali erano occupati da orti e campagne. Per breve tempo, durante il primo conflitto mondiale, ebbe il nome dell’imperatrice Maria Teresa, dal 28.3.1919 Via Giuseppe Mazzini.
“Piazza della Repubblica”
Questa piazza ebbe un numero notevole di nomi:
– Piazza San Nicolò – dal nome della chiesetta di San Nicolò dei Marinai menzionata già nel 1338;
– 1780 piazza Gadolla o Gadola, in riferimento al palazzo settecentesco che esisteva al posto dell’attuale palazzo della Banca Commerciale Italiana;
– dal 1870 Piazza Nuova o Nova perché era attraversata e rappresentava uno slargo della Via Nuova (via Mazzini)
Piazza XXX Ottobre e piazza Mazzini, questi nomi si trovano soprattutto sulle cartoline, nei testi consultati non ho trovato alcun riferimento;
– dal 1954 Piazza della Repubblica, dopo il ricongiungimento di Trieste all’Italia.Nella piazza si trovava il mercato di frutta, che avrebbe dovuto essere trasferito in Ponterosso già nel 1859, in realtà rimase fino al 1871, continuarono invece la loro attività i venditori di cambricchi (tele tessute a Cambrai in Fiandra). Per diversi anni si tenne la fiera di San Nicolò, che poi fu trasferita in via san Caterina.
Sulla piazza si apriva una libreria intestata al friulano Chiopris, che i triestini pronunciavano Ciopris.

Palazzo Duma
Dove oggi sorge la sede della Banca Commerciale Italiana si trovava il palazzo Duma Il settecentesco edificio, dopo la morte in povertà del Gadolla, cambiò tante volte i proprietari: nel 1808 Gerolamo Bonaparte, ex re di Westfalia, nel 1818 la sorella Elisa Baciocchi Bonaparte, nel 1826 il commerciante Carlo Cristiano Schwahhofer. Rimaneggiato nel 1828 dall’architetto Antonio Buttazzoni, che modificò l’ingresso con quattro colonne doriche a sostegno di un balcone al primo piano. Nel 1847 venne acquistato dal greco Demetrio Duma ed infine fu demolito nel 1904, quando era sede della Società Operaia Triestina.


Palazzo Creditanstalt
Dopo una complessa vicenda che comprende l’individuazione del sito e un fitto carteggio, iniziato verso la fine del 1907, fra lo Stabilimento austriaco di credito per il commercio e l’industria di Trieste e il Magistrato Civico, relativo ai permessi ed i costi dell’area sulla quale costruire la nuova sede, inizia la costruzione del palazzo su disegno di Enrico Nordio. In agosto del 1908 viene rilasciata l’abitabilità, vengono installati gli ascensori elettrici e nel 1909 il monumentale palazzo del Creditanstalt è concluso. Dopo il primo conflitto mondiale divenne sede della Banca Commerciale Triestina, e nel 1932 della Banca Commerciale Italiana che assorbì la Banca Commerciale Triestina.


Palazzo della Riunione Adriatica di Sicurtà (R.A.S.)             Già nel 1909 la grande compagnia assicurativa vide la necessità di una nuova sede in ragione delle accresciute esigenze. Tale edificio avrebbe dovuto ospitare gli uffici della compagnia, delle abitazioni civili e delle zone destinate a negozi.

Individuata l’area vennero acquistate e demolite le case: Bardeau, Prandi, Sartorio e Treves. Venne bandito un concorso al quale furono invitati illustri architetti, i lavori vennero selezionati da una prestigiosa giuria che scelse i progetti di Arduino e Ruggero Berlam, degli architetti Ignác Alpar di Budapest e Giacomo Zamattio, non riuscendo a concludere gli accordi con questi ultimi, l’incarico venne affidato ai Berlam.
L’imponente edificio venne costruito dal 1911 al 1914, in stile eclettico, nella struttura predomina il gusto rinascimentale. La facciata in pietra d’Istria è decorata con importanti sculture, le figure che contornano l’arco dell’ingresso sono scolpite da Giovanni Mayer, sulle colonne binate ai lati del balcone sono poste le sculture di Gianni Marin.
Dopo la galleria d’ingresso protetta, da una preziosa cancellata, si passa al sontuoso atrio, dove ha sede la fontana opera del Marin, con il gruppo scultoreo realizzato con marmi policromi raffigurante Mercurio assieme a tre leoni.
L’inaugurazione del palazzo è ricordata in una lapide all’ingresso.
In data 3 dicembre 1913 nel palazzo è stato aperto con l’ingresso in via Sant’Antonio la sala cinematografica “Ideal”.

(Margherita Tauceri)

Testi consultati:
Antonio Trampus, Vie e Piazze di Trieste Moderna;
Silvio Rutteri, Trieste storia ed arte tra vie e piazze;
F. Zubini, Borgo Teresiano;
Trieste 1872-1917, Guida all’Architettura a cura di Federica Rovello.

P.S.: All’angolo con via Dante Alighieri è situato uno dei più importanti esempi di Liberty triestino: il palazzo Terni-Smolars, ultimato nel 1907 ad opera di Romeo Depaoli.

.

Piazza della Repubblica

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Piazza della Repubblica
(Google Maps)
“Via Nuova” – “Via Mazzini”
La prima denominazione fu “Contrada Lunga” in quanto aveva una lunghezza maggiore di ogni altra strada dei dintorni, poi “Contrada Nuova” e “Via Nuova“, perché a quel tempo finiva in “piazza Nuova” (piazza della Repubblica), in quanto sia il tratto di via che conduceva in piazza Goldoni che le via laterali erano occupati da orti e campagne. Per breve tempo, durante il primo conflitto mondiale, ebbe il nome dell’imperatrice Maria Teresa, dal 28.3.1919 Via Giuseppe Mazzini.
“Piazza della Repubblica”
Questa piazza ebbe un numero notevole di nomi:
– Piazza San Nicolò – dal nome della chiesetta di San Nicolò dei Marinai menzionata già nel 1338;
– 1780 piazza Gadolla o Gadola, in riferimento al palazzo settecentesco che esisteva al posto dell’attuale palazzo della Banca Commerciale Italiana;
– dal 1870 Piazza Nuova o Nova perché era attraversata e rappresentava uno slargo della Via Nuova (via Mazzini)
Piazza XXX Ottobre e piazza Mazzini, questi nomi si trovano soprattutto sulle cartoline, nei testi consultati non ho trovato alcun riferimento;
– dal 1954 Piazza della Repubblica, dopo il ricongiungimento di Trieste all’Italia.Nella piazza si trovava il mercato di frutta, che avrebbe dovuto essere trasferito in Ponterosso già nel 1859, in realtà rimase fino al 1871, continuarono invece la loro attività i venditori di cambricchi (tele tessute a Cambrai in Fiandra). Per diversi anni si tenne la fiera di San Nicolò, che poi fu trasferita in via san Caterina.
Sulla piazza si apriva una libreria intestata al friulano Chiopris, che i triestini pronunciavano Ciopris.

Palazzo Duma
Dove oggi sorge la sede della Banca Commerciale Italiana si trovava il palazzo Duma Il settecentesco edificio, dopo la morte in povertà del Gadolla, cambiò tante volte i proprietari: nel 1808 Gerolamo Bonaparte, ex re di Westfalia, nel 1818 la sorella Elisa Baciocchi Bonaparte, nel 1826 il commerciante Carlo Cristiano Schwahhofer. Rimaneggiato nel 1828 dall’architetto Antonio Buttazzoni, che modificò l’ingresso con quattro colonne doriche a sostegno di un balcone al primo piano. Nel 1847 venne acquistato dal greco Demetrio Duma ed infine fu demolito nel 1904, quando era sede della Società Operaia Triestina.


Palazzo Creditanstalt
Dopo una complessa vicenda che comprende l’individuazione del sito e un fitto carteggio, iniziato verso la fine del 1907, fra lo Stabilimento austriaco di credito per il commercio e l’industria di Trieste e il Magistrato Civico, relativo ai permessi ed i costi dell’area sulla quale costruire la nuova sede, inizia la costruzione del palazzo su disegno di Enrico Nordio. In agosto del 1908 viene rilasciata l’abitabilità, vengono installati gli ascensori elettrici e nel 1909 il monumentale palazzo del Creditanstalt è concluso. Dopo il primo conflitto mondiale divenne sede della Banca Commerciale Triestina, e nel 1932 della Banca Commerciale Italiana che assorbì la Banca Commerciale Triestina.


Palazzo della Riunione Adriatica di Sicurtà (R.A.S.)             Già nel 1909 la grande compagnia assicurativa vide la necessità di una nuova sede in ragione delle accresciute esigenze. Tale edificio avrebbe dovuto ospitare gli uffici della compagnia, delle abitazioni civili e delle zone destinate a negozi.

Individuata l’area vennero acquistate e demolite le case: Bardeau, Prandi, Sartorio e Treves. Venne bandito un concorso al quale furono invitati illustri architetti, i lavori vennero selezionati da una prestigiosa giuria che scelse i progetti di Arduino e Ruggero Berlam, degli architetti Ignác Alpar di Budapest e Giacomo Zamattio, non riuscendo a concludere gli accordi con questi ultimi, l’incarico venne affidato ai Berlam.
L’imponente edificio venne costruito dal 1911 al 1914, in stile eclettico, nella struttura predomina il gusto rinascimentale. La facciata in pietra d’Istria è decorata con importanti sculture, le figure che contornano l’arco dell’ingresso sono scolpite da Giovanni Mayer, sulle colonne binate ai lati del balcone sono poste le sculture di Gianni Marin.
Dopo la galleria d’ingresso protetta, da una preziosa cancellata, si passa al sontuoso atrio, dove ha sede la fontana opera del Marin, con il gruppo scultoreo realizzato con marmi policromi raffigurante Mercurio assieme a tre leoni.
L’inaugurazione del palazzo è ricordata in una lapide all’ingresso.
In data 3 dicembre 1913 nel palazzo è stato aperto con l’ingresso in via Sant’Antonio la sala cinematografica “Ideal”.

(Margherita Tauceri)

Testi consultati:
Antonio Trampus, Vie e Piazze di Trieste Moderna;
Silvio Rutteri, Trieste storia ed arte tra vie e piazze;
F. Zubini, Borgo Teresiano;
Trieste 1872-1917, Guida all’Architettura a cura di Federica Rovello.

P.S.: All’angolo con via Dante Alighieri è situato uno dei più importanti esempi di Liberty triestino: il palazzo Terni-Smolars, ultimato nel 1907 ad opera di Romeo Depaoli.

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Il Caffè Nuova Stella Polare, in piazza Nuova (ora della Repubblica)

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Il Caffè Nuova Stella Polare, in piazza Nuova (ora della Repubblica)
(Google Maps)
“Via Nuova” – “Via Mazzini”
La prima denominazione fu “Contrada Lunga” in quanto aveva una lunghezza maggiore di ogni altra strada dei dintorni, poi “Contrada Nuova” e “Via Nuova“, perché a quel tempo finiva in “piazza Nuova” (piazza della Repubblica), in quanto sia il tratto di via che conduceva in piazza Goldoni che le via laterali erano occupati da orti e campagne. Per breve tempo, durante il primo conflitto mondiale, ebbe il nome dell’imperatrice Maria Teresa, dal 28.3.1919 Via Giuseppe Mazzini.
“Piazza della Repubblica”
Questa piazza ebbe un numero notevole di nomi:
– Piazza San Nicolò – dal nome della chiesetta di San Nicolò dei Marinai menzionata già nel 1338;
– 1780 piazza Gadolla o Gadola, in riferimento al palazzo settecentesco che esisteva al posto dell’attuale palazzo della Banca Commerciale Italiana;
– dal 1870 Piazza Nuova o Nova perché era attraversata e rappresentava uno slargo della Via Nuova (via Mazzini)
Piazza XXX Ottobre e piazza Mazzini, questi nomi si trovano soprattutto sulle cartoline, nei testi consultati non ho trovato alcun riferimento;
– dal 1954 Piazza della Repubblica, dopo il ricongiungimento di Trieste all’Italia.Nella piazza si trovava il mercato di frutta, che avrebbe dovuto essere trasferito in Ponterosso già nel 1859, in realtà rimase fino al 1871, continuarono invece la loro attività i venditori di cambricchi (tele tessute a Cambrai in Fiandra). Per diversi anni si tenne la fiera di San Nicolò, che poi fu trasferita in via san Caterina.
Sulla piazza si apriva una libreria intestata al friulano Chiopris, che i triestini pronunciavano Ciopris.

Palazzo Duma
Dove oggi sorge la sede della Banca Commerciale Italiana si trovava il palazzo Duma Il settecentesco edificio, dopo la morte in povertà del Gadolla, cambiò tante volte i proprietari: nel 1808 Gerolamo Bonaparte, ex re di Westfalia, nel 1818 la sorella Elisa Baciocchi Bonaparte, nel 1826 il commerciante Carlo Cristiano Schwahhofer. Rimaneggiato nel 1828 dall’architetto Antonio Buttazzoni, che modificò l’ingresso con quattro colonne doriche a sostegno di un balcone al primo piano. Nel 1847 venne acquistato dal greco Demetrio Duma ed infine fu demolito nel 1904, quando era sede della Società Operaia Triestina.


Palazzo Creditanstalt
Dopo una complessa vicenda che comprende l’individuazione del sito e un fitto carteggio, iniziato verso la fine del 1907, fra lo Stabilimento austriaco di credito per il commercio e l’industria di Trieste e il Magistrato Civico, relativo ai permessi ed i costi dell’area sulla quale costruire la nuova sede, inizia la costruzione del palazzo su disegno di Enrico Nordio. In agosto del 1908 viene rilasciata l’abitabilità, vengono installati gli ascensori elettrici e nel 1909 il monumentale palazzo del Creditanstalt è concluso. Dopo il primo conflitto mondiale divenne sede della Banca Commerciale Triestina, e nel 1932 della Banca Commerciale Italiana che assorbì la Banca Commerciale Triestina.


Palazzo della Riunione Adriatica di Sicurtà (R.A.S.)             Già nel 1909 la grande compagnia assicurativa vide la necessità di una nuova sede in ragione delle accresciute esigenze. Tale edificio avrebbe dovuto ospitare gli uffici della compagnia, delle abitazioni civili e delle zone destinate a negozi.

Individuata l’area vennero acquistate e demolite le case: Bardeau, Prandi, Sartorio e Treves. Venne bandito un concorso al quale furono invitati illustri architetti, i lavori vennero selezionati da una prestigiosa giuria che scelse i progetti di Arduino e Ruggero Berlam, degli architetti Ignác Alpar di Budapest e Giacomo Zamattio, non riuscendo a concludere gli accordi con questi ultimi, l’incarico venne affidato ai Berlam.
L’imponente edificio venne costruito dal 1911 al 1914, in stile eclettico, nella struttura predomina il gusto rinascimentale. La facciata in pietra d’Istria è decorata con importanti sculture, le figure che contornano l’arco dell’ingresso sono scolpite da Giovanni Mayer, sulle colonne binate ai lati del balcone sono poste le sculture di Gianni Marin.
Dopo la galleria d’ingresso protetta, da una preziosa cancellata, si passa al sontuoso atrio, dove ha sede la fontana opera del Marin, con il gruppo scultoreo realizzato con marmi policromi raffigurante Mercurio assieme a tre leoni.
L’inaugurazione del palazzo è ricordata in una lapide all’ingresso.
In data 3 dicembre 1913 nel palazzo è stato aperto con l’ingresso in via Sant’Antonio la sala cinematografica “Ideal”.

(Margherita Tauceri)

Testi consultati:
Antonio Trampus, Vie e Piazze di Trieste Moderna;
Silvio Rutteri, Trieste storia ed arte tra vie e piazze;
F. Zubini, Borgo Teresiano;
Trieste 1872-1917, Guida all’Architettura a cura di Federica Rovello.

P.S.: All’angolo con via Dante Alighieri è situato uno dei più importanti esempi di Liberty triestino: il palazzo Terni-Smolars, ultimato nel 1907 ad opera di Romeo Depaoli.

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Alexander Kircher (Trieste, 1867 – Berlino, 1939). Pittore e illustratore di marine e paesaggi

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 "Veduta di Trieste", datato (18)'97, olio su tela, cm. 45 x 60. Già Stadion Casa d'Aste

 

Alexander Kircher (Trieste, 1867 – Berlino, 1939). Pittore e illustratore di marine e paesaggi.
Nato a Trieste nel 1867, Kircher ha studiato pittura all’Accademia di Berlino (1888), sotto la guida diHans Gude e Hermann Eschke, dedicandosi fin dall’inizio ai soggetti di marina. E’ stato uno dei pittori ufficiali delle navi della Marina da guerra austro-ungarica e un eccellente pittore di vedute, a firma Alex. Kircher. Alla fine della guerra ha lasciato Trieste e si è trasferito a Dresda, continuando a dipingere navi della Marina da guerra tedesca. La Città di Rovigno gli ha dedicato una sala Museo dove sono esposte 12 sue opere.

Alexander Kircher (Trieste, 1867 – Berlino, 1939). Pittore e illustratore di marine e paesaggi

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 "Veduta aerea di Duino durante la Grande Guerra" Post di Giancarla Scubini

 

Alexander Kircher (Trieste, 1867 – Berlino, 1939). Pittore e illustratore di marine e paesaggi.
Nato a Trieste nel 1867, Kircher ha studiato pittura all’Accademia di Berlino (1888), sotto la guida diHans Gude e Hermann Eschke, dedicandosi fin dall’inizio ai soggetti di marina. E’ stato uno dei pittori ufficiali delle navi della Marina da guerra austro-ungarica e un eccellente pittore di vedute, a firma Alex. Kircher. Alla fine della guerra ha lasciato Trieste e si è trasferito a Dresda, continuando a dipingere navi della Marina da guerra tedesca. La Città di Rovigno gli ha dedicato una sala Museo dove sono esposte 12 sue opere.

Trieste – La Lanterna

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 Faro Lanterna di Trieste

La Lanterna di Trieste si trova al Molo Fratelli Bandiera (già Molo Teresiano), vicino alla nuova Piscina Comunale e prima dell’ingresso al Porto Vecchio.

La costruzione del faro, le cui fondazioni poggiano su quello che una volta era lo Scoglio dello Zucco (fino a fine ‘700 staccato dalla terraferma), fu voluta dal governatore della città Carlo Zinzendorf, su progetto di Matteo Pertsch e doveva svolgere anche una funzione di vigilanza e difesa del Porto.

Alla base della Lanterna sorge una sorta di fortino, che per tipologia appartiene al tipo fortificatorio della torre casamattata per artiglieria a tracciato circolare, o torre massimiliana. Queste fortificazioni traggono il loro nome dalle torri costruite a Linz tra il 1831 ed il 1833 dall’arciduca Massimiliano, già in uso nelle costiere svedesi del tardo Seicento. La loro struttura massiccia e circolare le rendeva inespugnabili, e consentiva il controllo a 360°.

La Lanterna, alta quasi 35 metri, con una portata di una quindicina di miglia marine, entrò in funzione l’11 febbraio 1833. All’inizio si utilizzò olio combustibile, sostituito dal 1860 con il petrolio e successivamente con l’elettricità. Già ai tempi della Tergeste romana esisteva una sorta di faro nella stessa area in cui sorge la Lanterna, i cui ruderi, secondo le fonti, erano visibili fino al 1600. Dopo quella data vi sorse una cappella, dedicata a San Nicolò, attrezzata anche per la segnalazione notturna, funzione sostituita con l’edificazione di una nuova Lanterna, per volere di Maria Teresa d’Asburgo (Vienna, 1717 – Vienna, 1780), in uso fino al 1833, quando venne inaugurata l’attuale.

Dalla fine dell’Ottocento, un cannone posto alla sua base segnava, con una salva, il mezzogiorno. Agli inizi del Novecento sulla Lanterna veniva mostrata la pressione dell’aria con un indice mobile, regolato manualmente sui valori registrati dall’Osservatorio Marittimo. Per anni la Lanterna si presentò dipinta a strisce bianche e nere.

Con l’inaugurazione, nel 1927, del Faro della Vittoria, la Lanterna decadde dall’originaria funzione e il 25 novembre 1969 venne spenta definitivamente. Nel 1992 è stata restaurata dalla Lega Navale di Trieste, che ne ha fatto la propria sede. (g.c.)

Faro Lanterna di Trieste

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 Faro Lanterna di Trieste

La Lanterna di Trieste si trova al Molo Fratelli Bandiera (già Molo Teresiano), vicino alla nuova Piscina Comunale e prima dell’ingresso al Porto Vecchio.

La costruzione del faro, le cui fondazioni poggiano su quello che una volta era lo Scoglio dello Zucco (fino a fine ‘700 staccato dalla terraferma), fu voluta dal governatore della città Carlo Zinzendorf, su progetto di Matteo Pertsch e doveva svolgere anche una funzione di vigilanza e difesa del Porto.

Alla base della Lanterna sorge una sorta di fortino, che per tipologia appartiene al tipo fortificatorio della torre casamattata per artiglieria a tracciato circolare, o torre massimiliana. Queste fortificazioni traggono il loro nome dalle torri costruite a Linz tra il 1831 ed il 1833 dall’arciduca Massimiliano, già in uso nelle costiere svedesi del tardo Seicento. La loro struttura massiccia e circolare le rendeva inespugnabili, e consentiva il controllo a 360°.

La Lanterna, alta quasi 35 metri, con una portata di una quindicina di miglia marine, entrò in funzione l’11 febbraio 1833. All’inizio si utilizzò olio combustibile, sostituito dal 1860 con il petrolio e successivamente con l’elettricità. Già ai tempi della Tergeste romana esisteva una sorta di faro nella stessa area in cui sorge la Lanterna, i cui ruderi, secondo le fonti, erano visibili fino al 1600. Dopo quella data vi sorse una cappella, dedicata a San Nicolò, attrezzata anche per la segnalazione notturna, funzione sostituita con l’edificazione di una nuova Lanterna, per volere di Maria Teresa d’Asburgo (Vienna, 1717 – Vienna, 1780), in uso fino al 1833, quando venne inaugurata l’attuale.

Dalla fine dell’Ottocento, un cannone posto alla sua base segnava, con una salva, il mezzogiorno. Agli inizi del Novecento sulla Lanterna veniva mostrata la pressione dell’aria con un indice mobile, regolato manualmente sui valori registrati dall’Osservatorio Marittimo. Per anni la Lanterna si presentò dipinta a strisce bianche e nere.

Con l’inaugurazione, nel 1927, del Faro della Vittoria, la Lanterna decadde dall’originaria funzione e il 25 novembre 1969 venne spenta definitivamente. Nel 1992 è stata restaurata dalla Lega Navale di Trieste, che ne ha fatto la propria sede. (g.c.)

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 Faro Lanterna di Trieste

La Lanterna di Trieste si trova al Molo Fratelli Bandiera (già Molo Teresiano), vicino alla nuova Piscina Comunale e prima dell’ingresso al Porto Vecchio.

La costruzione del faro, le cui fondazioni poggiano su quello che una volta era lo Scoglio dello Zucco (fino a fine ‘700 staccato dalla terraferma), fu voluta dal governatore della città Carlo Zinzendorf, su progetto di Matteo Pertsch e doveva svolgere anche una funzione di vigilanza e difesa del Porto.

Alla base della Lanterna sorge una sorta di fortino, che per tipologia appartiene al tipo fortificatorio della torre casamattata per artiglieria a tracciato circolare, o torre massimiliana. Queste fortificazioni traggono il loro nome dalle torri costruite a Linz tra il 1831 ed il 1833 dall’arciduca Massimiliano, già in uso nelle costiere svedesi del tardo Seicento. La loro struttura massiccia e circolare le rendeva inespugnabili, e consentiva il controllo a 360°.

La Lanterna, alta quasi 35 metri, con una portata di una quindicina di miglia marine, entrò in funzione l’11 febbraio 1833. All’inizio si utilizzò olio combustibile, sostituito dal 1860 con il petrolio e successivamente con l’elettricità. Già ai tempi della Tergeste romana esisteva una sorta di faro nella stessa area in cui sorge la Lanterna, i cui ruderi, secondo le fonti, erano visibili fino al 1600. Dopo quella data vi sorse una cappella, dedicata a San Nicolò, attrezzata anche per la segnalazione notturna, funzione sostituita con l’edificazione di una nuova Lanterna, per volere di Maria Teresa d’Asburgo (Vienna, 1717 – Vienna, 1780), in uso fino al 1833, quando venne inaugurata l’attuale.

Dalla fine dell’Ottocento, un cannone posto alla sua base segnava, con una salva, il mezzogiorno. Agli inizi del Novecento sulla Lanterna veniva mostrata la pressione dell’aria con un indice mobile, regolato manualmente sui valori registrati dall’Osservatorio Marittimo. Per anni la Lanterna si presentò dipinta a strisce bianche e nere.

Con l’inaugurazione, nel 1927, del Faro della Vittoria, la Lanterna decadde dall’originaria funzione e il 25 novembre 1969 venne spenta definitivamente. Nel 1992 è stata restaurata dalla Lega Navale di Trieste, che ne ha fatto la propria sede. (g.c.)

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 Faro Lanterna di Trieste

La Lanterna di Trieste si trova al Molo Fratelli Bandiera (già Molo Teresiano), vicino alla nuova Piscina Comunale e prima dell’ingresso al Porto Vecchio.

La costruzione del faro, le cui fondazioni poggiano su quello che una volta era lo Scoglio dello Zucco (fino a fine ‘700 staccato dalla terraferma), fu voluta dal governatore della città Carlo Zinzendorf, su progetto di Matteo Pertsch e doveva svolgere anche una funzione di vigilanza e difesa del Porto.

Alla base della Lanterna sorge una sorta di fortino, che per tipologia appartiene al tipo fortificatorio della torre casamattata per artiglieria a tracciato circolare, o torre massimiliana. Queste fortificazioni traggono il loro nome dalle torri costruite a Linz tra il 1831 ed il 1833 dall’arciduca Massimiliano, già in uso nelle costiere svedesi del tardo Seicento. La loro struttura massiccia e circolare le rendeva inespugnabili, e consentiva il controllo a 360°.

La Lanterna, alta quasi 35 metri, con una portata di una quindicina di miglia marine, entrò in funzione l’11 febbraio 1833. All’inizio si utilizzò olio combustibile, sostituito dal 1860 con il petrolio e successivamente con l’elettricità. Già ai tempi della Tergeste romana esisteva una sorta di faro nella stessa area in cui sorge la Lanterna, i cui ruderi, secondo le fonti, erano visibili fino al 1600. Dopo quella data vi sorse una cappella, dedicata a San Nicolò, attrezzata anche per la segnalazione notturna, funzione sostituita con l’edificazione di una nuova Lanterna, per volere di Maria Teresa d’Asburgo (Vienna, 1717 – Vienna, 1780), in uso fino al 1833, quando venne inaugurata l’attuale.

Dalla fine dell’Ottocento, un cannone posto alla sua base segnava, con una salva, il mezzogiorno. Agli inizi del Novecento sulla Lanterna veniva mostrata la pressione dell’aria con un indice mobile, regolato manualmente sui valori registrati dall’Osservatorio Marittimo. Per anni la Lanterna si presentò dipinta a strisce bianche e nere.

Con l’inaugurazione, nel 1927, del Faro della Vittoria, la Lanterna decadde dall’originaria funzione e il 25 novembre 1969 venne spenta definitivamente. Nel 1992 è stata restaurata dalla Lega Navale di Trieste, che ne ha fatto la propria sede. (g.c.)

Trieste – Riva Carciotti, attuale Riva III Novembre

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Trieste, Riva Carciotti, dal 3 novembre 1918 «Riva III novembre»                


Trieste, riva Carciotti, dal 3 novembre 1918 «riva III novembre», a ricordo dello sbarco dei bersaglieri a Trieste, con l’annessione di Trieste all’Italia.
Sulla destra la chiesa della Comunità Greco-Orientale, dedicata alla S.S. Trinità e a San Nicolò; proseguendo il palazzo già sede dell’Hotel et de la Ville, restaurato nel 1932 sotto la direzione dall’architetto Pulitzer Finali, nel 1955 dall’architetto Rutter, e negli anni 1984-1985 riadattato a sede della Banca Popolare di Novara.
Spingendosi ancora verso piazza della Libertà, al civico 13, prima del Gran Canale, troviamo l’edificio neoclassico Carciotti, eretto dall’architetto Matteo Pertsch per il commerciante Demetrio Carciotti, nei primi anni dell’Ottocento.
Già sede degli uffici dell’Imperial Regio Governo Marittimo, poi della Capitaneria di Porto, ora posto in vendita, attende un nuovo destino.

Quando Trieste fu “Fotocromata”

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Immagini fotocromatiche di Trieste.  Collezione Roger Seganti

La fotocromia è una tecnica usata per ottenere foto a colori da negativi in bianco e nero, con l’utilizzo tra le quattro e le quattordici pietre litografiche, per colorare le stampe con differenti inchiostri. Il processo fu inventato negli anni 1880 da un chimico svizzero Hans Jakob Schmid (1856-1924), un impiegato della compagnia svizzera Orell Gessner Füssli, un’impresa di stampe la cui storia risale al XVI secolo. La Füssli fondò la società per azioni Photochrom Zürich (conosciuta in seguito come Photoglob Zürich), come veicolo negli affari per lo sfruttamento commerciale del processo. Con un notevole successo il processo fotocromia fu presentato dal Photoglob Zürich all’Esposizione Universale di Parigi nel 1889, il mondo risplendeva a colori.

Trieste Canal Grande PZ 8431

Trieste Canal Grande PZ 8431
Immagine 1 di 14

Il processo Photochrom era un misto tra fotografia e una prima forma di stampa. Ha prodotto fotografie a colori vivaci circa 40 anni prima che la fotografia a colori era commercialmente disponibile, e ci permette di avere uno sguardo indietro nella fine del 1800 e l’inizio del 1900.

Una pietra litografica viene rivestita con un sottile strato di bitume purificato disciolto nel benzene. Un negativo rovesciato viene quindi pressato contro questo rivestimento sensibile alla luce, e viene esposto alla luce del giorno (dai 10 ai 30 minuti in estate, per diverse ore in inverno).
Il bitume indurisce e diventa resistente ai normali solventi, in proporzione alla luce. Il rivestimento viene poi lavato in una soluzione di trementina, per rimuovere il bitume non indurito. Viene quindi ritoccato nella scala tonale del colore scelto, per rafforzare o ammorbidire i toni a seconda di quanto desiderato. Ogni tintura richiede una pietra litografica separata che rechi l’opportuna immagine ritoccata, e le stampe vengono prodotte con almeno sei pietre, ma più comunemente sono richieste dalle dieci alle quindici pietre per colorare le immagini con differenti inchiostri. Con una lente di ingrandimento può essere visto piccoli puntini colorati che mostrano la grana della pietra utilizzata.

Trieste Molo San Carlo PZ 8426

Trieste Molo San Carlo PZ 8426
Immagine 1 di 14

La maggior parte delle 22cm x 16,5cm Photochrom hanno un numero e titolo impressi in oro su angoli inferiore destro o sinistro. In caso di PZ tra il numero e il titolo significa che sono stati prodotti dalla società svizzera, Photoglob Zurigo.

Tra il 1895 e 1905 anche Trieste fu “ fotocromato” dalla PZ Photoglob Zürich.

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DATABASE NEBIS PHOTOCHROM TRIESTE

Fonti;
https://it.wikipedia.org/wiki/Fotocromia
https://archiviodelverbanocusioossola.com/2011/11/16/la-rivoluzione-della-fotocromia-quando-svizzeri-e-americani-colorarono-il-mondo/

Trieste – Via Tigor 11 – Casa del 1910 su progetto dell’architetto Nicolò Drioli

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Trieste - Via Tigor 11 - Casa del 1910 su progetto dell'architetto Nicolò Drioli. Foto Paolo Carbonaio

Trieste, Gretta – Forte Kressich

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Trieste, Gretta - Forte Kressich
Il 26 settembre 1850 l’imperatore Francesco Giuseppe approvò il progetto per la costruzione di un forte, per lo studio viene incaricato il Tenente Colnello Carl Moering. Il forte venne costruito fra il 1854 e il 1857 sul poggio di Gretta, prese il nome dalla campagna Kressich sulla quale è sorto, in quel periodo era la più importante fortificazione a difesa del porto, si trovava ad un’altezza elevata per non essere colpito dall’artiglieria navale. All’entrata vi era un ponte levatoio, il bastione era circondato da un fosso (capponiera), aveva una galleria alla quale si poteva accedere attraverso un passaggio sotterraneo, esisteva inoltre una rete di sotterranei dove venivano conservate le polveri ed i rifornimenti. Dalla collina si collegava con la sottostante batteria di San Bortolo, che veniva chiamata anche Kressich Basso o Kressich Piccolo. La guarnigione poteva raggiungere un migliaio di uomini; era fornito di artiglierie per eventuali attacchi di “treni armati”. Il forte rimase efficiente per quasi trent’anni, il sistema difensivo venne poi sorpassato dai progressi delle artiglierie navali.
Durante la prima guerra venne utilizzato come magazzino militare.
Dopo la redenzione, l’armatore triestino Ettore Pollich comperò il forte per cederlo al Comitato che doveva erigere su quel posto il faro della Vittoria, infatti per l’ampio basamento che ingloba il bastione del forte, vennero utilizzate le solide fondamenta.
Il bassorilievo con la grande aquila bicipite, che era sistemato all’ingresso del forte, è stato collocato nei sotterranei del Faro. (Margherita Tauceri)

Trieste – Castello di Miramare, da una stampa colorata dell’Ottocento

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Trieste - Castello di Miramare, da una stampa colorata dell'Ottocento
Massimiliano, voleva a Trieste, una residenza adeguata al suo nome, al suo rango e ai suoi incarichi ufficiali. Amante della natura e della botanica, vedeva nell’aspro promontorio di Grignano, il posto ideale per le sue sperimentazioni di giardinaggio. Nel 1856 acquista un territorio in quella zona, denomina tutto il comprensorio con la parola spagnola di “Miramar”. Incarica della progettazione l’ing. civile Carl Junker, poco dopo, dà delle precise indicazioni all’arch,. Giovanni Berlam, al quale richiede il progetto di un castello. L’arciduca non è soddisfatto di entrambi i progetti, vorrebbe una sede con spazi più ampi, un edificio più imponente e più rappresentativo. Forse in questo momento decide di spostare la dimora sul promontorio più grande di Miramare, dove effettivamente il castello verrà costruito. Junker prova a soddisfare le richieste con un nuovo progetto, che verrà accolto. Tutto questo si svolge in tempi brevissimi, il 1° marzo 1856 iniziano i lavori che procedono veloci, come si può vedere in questa stampa di Albert Rieger, datata 1857. dove è già costruito il muraglione e la bella scalinata. Ovviamente per la complessità della costruzione con i giardini, il padiglione e le serre, ma soprattutto le decorazioni e gli arredi degli interni verranno impiegati molti anni.
Nel 1859 assieme a Carlotta va ad alloggiare al “Castelletto”. (Margherita Tauceri)

Castello e porticciolo di Miramare

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Trieste - Castello e porticciolo di Miramare, da una incisione dell'Ottocento
Massimiliano voleva a Trieste una residenza adeguata al suo nome, al suo rango e ai suoi incarichi ufficiali. Amante della natura e della botanica, vedeva nell’aspro promontorio di Grignano, il posto ideale per le sue sperimentazioni di giardinaggio. Nel 1856 acquista un territorio in quella zona, denomina tutto il comprensorio con la parola spagnola di “Miramar”. Incarica della progettazione l’ing. civile Carl Junker, poco dopo, dà delle precise indicazioni all’architetto Giovanni Berlam, al quale richiede il progetto di un castello. L’arciduca non è soddisfatto di entrambi i progetti, vorrebbe una sede con spazi più ampi, un edificio più imponente e più rappresentativo. Forse in questo momento decide di spostare la dimora sul promontorio più grande di Miramare, dove effettivamente il castello verrà costruito. Junker prova a soddisfare le richieste con un nuovo progetto, che verrà accolto. Tutto questo si svolge in tempi brevissimi, il 1° marzo 1856 iniziano i lavori che procedono veloci, come si può vedere in questa stampa di Albert Rieger, datata 1857. dove è già costruito il muraglione e la bella scalinata. Ovviamente per la complessità della costruzione con i giardini, il padiglione e le serre, ma soprattutto le decorazioni e gli arredi degli interni verranno impiegati molti anni.
Nel 1859 assieme a Carlotta va ad alloggiare al “Castelletto”. (Margherita Tauceri)

Barcola – lavori di costipamento della massicciata lungo la strada per Miramare

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Barcola, primi '900 - lavori di costipamento della massicciata lungo la strada per Miramare (Coll. Giancarla Scubini)
La strada che conduceva al Castello di Miramare, venne fatta costruire nel 1859 dall’allora podestà Muzio Tommasini e venne denominata “Corsia Miramar”, dall’agosto 1928 fu congiunta con la strada costiera per Monfalcone.
(Margherita Tauceri)

Trieste – Via del Molino a Vento

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Trieste - Via del Molino a Vento: pianta di Trieste del 1829 dove è segnato il punto preciso dove stava il mulino a vento che diede poi il nome alla via
Intorno alla metà del Settecento alcuni imprenditori, volendo utilizzare il vento della bora, costruirono un molino sul terreno allora privo di fabbricati. Questo mulino ovviamente era mosso dalla forza del vento, ma per l’intensità e l’intermittenza della bora l’attività fallì; di questa attività rimasero fino alla fine 1700, solo un rudere, una sorta di torre diroccata.
Nel 1798 un certo Giuseppe Duprè volle ritentare la prova, costruendo un altro molino poco lontano dal primo, ma il risultato fu lo stesso. Di quei due mulini rimasero le rovine che diedero poi il nome alla nuova via che andò formandosi in quelle adiacenze nei primi anni del 700.
Qui la via in nero che si biforca a sinistra ( = 2 ) continua con la via dell’Istria, mentre l’altra ( = 1 ) continua con la strada di Fiume.
La via fu aperta nel 1728 quando cioè venne regolata per volontà del Capitano Cesareo Andrea Barone de Fin, che volle inoltre fortificare il corso della lunga strada, che scendeva da Montebello, con solidi travi in legno, costruendo inoltre anche il muro di sostegno nel lato a sinistra della stessa salendo, che ancor oggi delimita verso il basso la ripida salita. (Dino Cafagna)

Ex-Pescheria Centrale, ora Salone Degli Incanti

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Trieste - Riva Nazario Sauro, Salone degli Incanti - Foto Paolo Carbonaio
L’ex-Pescheria Centrale edificata nel 1913 dall’architetto Giorgio Polli. Per la sua forma che ricorda una chiesa i Triestini la chiamano ironicamente “Santa Maria del Guato”, tipico pesce locale.
Fu edificata nel 1913 dall’ architetto Giorgio Polli, che escogitò un tipo di costruzione funzionale ed esteticamente accettabile che si integrasse con lo stile neoclassico delle Rive.
Caratteristiche della costruzione sono i muri in mattoni con strutture in cemento armato e ampi finestroni.
Abbelliscono l’edificio, dando risalto alla sua funzione originaria, sculture a bassorilievo di prore di bragozzi da pesca, pesci e crostacei (si dice che le prore riprodotte sul basamento dell’edificio ricordano i bragozzi di Grado e di Chioggia che rifornivano di pesce la città. Le stelle a cinque punte sulle prore rappresentavano la Stella d’Italia ed erano una sfida all’autorità austriaca).
La torre a campanile conteneva, mascherandolo, il serbatoio dell’ acqua marina sopraelevato per servire i banchi di vendita. Sul lato a mare i pescherecci scaricavano il pescato; sul pronao si tenevano le aste del pesce, mentre dentro fungeva da mercato al dettaglio.
Oggi, cessata l’attività di pescheria, l’edificio è stato ristrutturato e ospita, con la denominazione Salone degli Incanti, il Centro Espositivo d’Arte Moderna e Contemporanea.
Sul lato della torre c’è l’Aquario che è stato inaugurato nel 1933.
L’acquario dispone di 25 vasche, che ricostruiscono diversi ambienti marini, nelle quali ospita specie prevalentemente adriatiche (celenterati, anellidi, molluschi, echinodermi e crostacei). Al piano terra sono presenti anche una grande vasca ottagonale che ospita squali e razze ed una che ospitava alcuni pinguini (Spheniscus demersus) provenienti dal Sudafrica. Un esemplare di pinguino, noto con il nome di Marco, è vissuto nell’acquario per ben 31 anni. Il primo piano è occupato dal vivarium dove sono ospitate numerose specie di anfibi, rettili e pesci d’acqua dolce. È presente anche un grande terrario dove è ricostruito uno stagno carsico nel quale si riproducono rospi comuni, rane verdi ed ululoni. È infine presente un piccolo terrario tattile dove i bambini possono accarezzare le salamandre ed i rospi. 

Trieste – Panorama con il Faro della Vittoria

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Trieste - Panorama con il Faro della Vittoria. Collezione privata

Il Faro della Vittoria nasce su progetto dell’architetto triestino Arduino Berlam (1880 – 1946), che si fa promotore dell’iniziativa già dal 1918, quando la Grande Guerra si è da poco conclusa. Per l‘edificazione del grande monumento, commemorativo i marinai caduti durante la guerra, e faro guida alla navigazione notturna nel Golfo di Trieste, venne scelta una posizione dominante a 60 metri sul livello del mare. Il Poggio di Gretta, un terreno roccioso che aveva già offerto le fondamenta a un’altra costruzione, l’ex forte austriaco Kressich, attivo dal 1854, che con i suoi cannoni proteggeva la spiaggia di Barcola.
La costruzione del Faro, iniziata nel gennaio 1923, vide il progetto originario del Berlam modificato dall’architetto Guido Cirilli, che ne dirigeva i lavori. L’opera venne completata il 24 maggio 1927, con un’inaugurazione solenne, presenziata dal Re Vittorio Emanuele III e dalla regina consorte, Elena di Montenegro. La possente struttura, costata 5.265.000 lire, del peso complessivo di 8.000 tonnellate, è rivestita esternamente di pietra – carsica di Gabria la parte inferiore e pietra istriana di Orsera nella parte superiore. La lanterna, collocata a 115 metri sopra il livello del mare, compie un giro intorno al proprio asse ogni 30 secondi e sprigionando una luminosità di 1.200.000 candele copre una portata di 30 miglia. Sopra la grande colonna cava, un capitello sostiene la “coffa”, riferimento agli alberi delle navi, in cui è inserita la gabbia di bronzo e cristalli della lanterna, coperta da una cupola di bronzo decorata a squame. Sopra la cupola svetta la grande statua in rame della Vittoria Alata, 7 quintali di peso, opera dello scultore triestino Giovanni Mayer (1863 – 1943), realizzata dal fabbro artigiano Giacomo Sebroth.
In basso si trova la figura del Marinaio Ignoto, 8,6 metri di pietra di Orsera, sempre su disegno di Giovanni Mayer, del maestro scalpellino Regolo Salandini. Sotto la statua è stata collocata l’ancora dell’Audace, la prima nave della Regia Marina Italiana, che il 3 novembre 1918 entrò nel porto di Trieste sbarcando il generale Carlo Petitti di Roreto, incaricato di proclamare l’annessione della città all’Italia. Dopo un viaggio a Zara il 7 novembre, per portare provviste alla popolazione civile, la nave tornò a Trieste il 10 novembre con a bordo il re Vittorio Emanuele III e i generali Armando Diaz e Pietro Badoglio. L’allora Molo San Carlo venne ribattezzato Molo Audace, mentre il lungomare contiguo assunse il nome di Riva 3 novembre.

Anche se convenzionalmente viene dichiarato che l’ancora collocata nel Faro è quella dell’Audace, probabilmente si tratta dell’ancora di un’altra nave, della R.N. Berenice. L’Audace, che alla proclamazione dell’armistizio, l’8 settembre 1943, venne Incorporata nella Kriegsmarine tedesca ed utilizzata in Adriatico in missioni di scorta, trasporto truppe e posa di mine, il 1º novembre 1944 venne affondata da unità navali inglesi al largo di Pago e il relitto venne individuato alla profondità di 80 metri soltanto nell’agosto del 1999, dai subacquei triestini Leonardo Laneve e Mario Arena.
Ai lati dell’ingresso del Faro sono posti due proiettili della corazzata Viribus Unitis, nave ammiraglia della Marina imperiale austriaca, che doveva il suo nome al motto dell’imperatore Francesco Giuseppe.
Una lastra in pietra posta alla base del Faro reca l’iscrizione: “ A.D. MCMXXVII « SPLENDI E RICORDA I CADVTI SVL MARE (MCMXV – MCMXVIII) ». (Giorgio Catania)

Trieste – Faro della Vittoria

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Trieste - Faro della Vittoria. Foto E. Marcovich

Il Faro della Vittoria nasce su progetto dell’architetto triestino Arduino Berlam (1880 – 1946), che si fa promotore dell’iniziativa già dal 1918, quando la Grande Guerra si è da poco conclusa. Per l‘edificazione del grande monumento, commemorativo i marinai caduti durante la guerra, e faro guida alla navigazione notturna nel Golfo di Trieste, venne scelta una posizione dominante a 60 metri sul livello del mare. Il Poggio di Gretta, un terreno roccioso che aveva già offerto le fondamenta a un’altra costruzione, l’ex forte austriaco Kressich, attivo dal 1854, che con i suoi cannoni proteggeva la spiaggia di Barcola.
La costruzione del Faro, iniziata nel gennaio 1923, vide il progetto originario del Berlam modificato dall’architetto Guido Cirilli, che ne dirigeva i lavori. L’opera venne completata il 24 maggio 1927, con un’inaugurazione solenne, presenziata dal Re Vittorio Emanuele III e dalla regina consorte, Elena di Montenegro. La possente struttura, costata 5.265.000 lire, del peso complessivo di 8.000 tonnellate, è rivestita esternamente di pietra – carsica di Gabria la parte inferiore e pietra istriana di Orsera nella parte superiore. La lanterna, collocata a 115 metri sopra il livello del mare, compie un giro intorno al proprio asse ogni 30 secondi e sprigionando una luminosità di 1.200.000 candele copre una portata di 30 miglia. Sopra la grande colonna cava, un capitello sostiene la “coffa”, riferimento agli alberi delle navi, in cui è inserita la gabbia di bronzo e cristalli della lanterna, coperta da una cupola di bronzo decorata a squame. Sopra la cupola svetta la grande statua in rame della Vittoria Alata, 7 quintali di peso, opera dello scultore triestino Giovanni Mayer (1863 – 1943), realizzata dal fabbro artigiano Giacomo Sebroth.
In basso si trova la figura del Marinaio Ignoto, 8,6 metri di pietra di Orsera, sempre su disegno di Giovanni Mayer, del maestro scalpellino Regolo Salandini. Sotto la statua è stata collocata l’ancora dell’Audace, la prima nave della Regia Marina Italiana, che il 3 novembre 1918 entrò nel porto di Trieste sbarcando il generale Carlo Petitti di Roreto, incaricato di proclamare l’annessione della città all’Italia. Dopo un viaggio a Zara il 7 novembre, per portare provviste alla popolazione civile, la nave tornò a Trieste il 10 novembre con a bordo il re Vittorio Emanuele III e i generali Armando Diaz e Pietro Badoglio. L’allora Molo San Carlo venne ribattezzato Molo Audace, mentre il lungomare contiguo assunse il nome di Riva 3 novembre.

Anche se convenzionalmente viene dichiarato che l’ancora collocata nel Faro è quella dell’Audace, probabilmente si tratta dell’ancora di un’altra nave, della R.N. Berenice. L’Audace, che alla proclamazione dell’armistizio, l’8 settembre 1943, venne Incorporata nella Kriegsmarine tedesca ed utilizzata in Adriatico in missioni di scorta, trasporto truppe e posa di mine, il 1º novembre 1944 venne affondata da unità navali inglesi al largo di Pago e il relitto venne individuato alla profondità di 80 metri soltanto nell’agosto del 1999, dai subacquei triestini Leonardo Laneve e Mario Arena.
Ai lati dell’ingresso del Faro sono posti due proiettili della corazzata Viribus Unitis, nave ammiraglia della Marina imperiale austriaca, che doveva il suo nome al motto dell’imperatore Francesco Giuseppe.
Una lastra in pietra posta alla base del Faro reca l’iscrizione: “ A.D. MCMXXVII « SPLENDI E RICORDA I CADVTI SVL MARE (MCMXV – MCMXVIII) ». (Giorgio Catania)

Trieste – Panorama con il Faro della Vittoria

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Trieste - Panorama con il Faro della Vittoria

Il Faro della Vittoria nasce su progetto dell’architetto triestino Arduino Berlam (1880 – 1946), che si fa promotore dell’iniziativa già dal 1918, quando la Grande Guerra si è da poco conclusa. Per l‘edificazione del grande monumento, commemorativo i marinai caduti durante la guerra, e faro guida alla navigazione notturna nel Golfo di Trieste, venne scelta una posizione dominante a 60 metri sul livello del mare. Il Poggio di Gretta, un terreno roccioso che aveva già offerto le fondamenta a un’altra costruzione, l’ex forte austriaco Kressich, attivo dal 1854, che con i suoi cannoni proteggeva la spiaggia di Barcola.
La costruzione del Faro, iniziata nel gennaio 1923, vide il progetto originario del Berlam modificato dall’architetto Guido Cirilli, che ne dirigeva i lavori. L’opera venne completata il 24 maggio 1927, con un’inaugurazione solenne, presenziata dal Re Vittorio Emanuele III e dalla regina consorte, Elena di Montenegro. La possente struttura, costata 5.265.000 lire, del peso complessivo di 8.000 tonnellate, è rivestita esternamente di pietra – carsica di Gabria la parte inferiore e pietra istriana di Orsera nella parte superiore. La lanterna, collocata a 115 metri sopra il livello del mare, compie un giro intorno al proprio asse ogni 30 secondi e sprigionando una luminosità di 1.200.000 candele copre una portata di 30 miglia. Sopra la grande colonna cava, un capitello sostiene la “coffa”, riferimento agli alberi delle navi, in cui è inserita la gabbia di bronzo e cristalli della lanterna, coperta da una cupola di bronzo decorata a squame. Sopra la cupola svetta la grande statua in rame della Vittoria Alata, 7 quintali di peso, opera dello scultore triestino Giovanni Mayer (1863 – 1943), realizzata dal fabbro artigiano Giacomo Sebroth.
In basso si trova la figura del Marinaio Ignoto, 8,6 metri di pietra di Orsera, sempre su disegno di Giovanni Mayer, del maestro scalpellino Regolo Salandini. Sotto la statua è stata collocata l’ancora dell’Audace, la prima nave della Regia Marina Italiana, che il 3 novembre 1918 entrò nel porto di Trieste sbarcando il generale Carlo Petitti di Roreto, incaricato di proclamare l’annessione della città all’Italia. Dopo un viaggio a Zara il 7 novembre, per portare provviste alla popolazione civile, la nave tornò a Trieste il 10 novembre con a bordo il re Vittorio Emanuele III e i generali Armando Diaz e Pietro Badoglio. L’allora Molo San Carlo venne ribattezzato Molo Audace, mentre il lungomare contiguo assunse il nome di Riva 3 novembre.

Anche se convenzionalmente viene dichiarato che l’ancora collocata nel Faro è quella dell’Audace, probabilmente si tratta dell’ancora di un’altra nave, della R.N. Berenice. L’Audace, che alla proclamazione dell’armistizio, l’8 settembre 1943, venne Incorporata nella Kriegsmarine tedesca ed utilizzata in Adriatico in missioni di scorta, trasporto truppe e posa di mine, il 1º novembre 1944 venne affondata da unità navali inglesi al largo di Pago e il relitto venne individuato alla profondità di 80 metri soltanto nell’agosto del 1999, dai subacquei triestini Leonardo Laneve e Mario Arena.
Ai lati dell’ingresso del Faro sono posti due proiettili della corazzata Viribus Unitis, nave ammiraglia della Marina imperiale austriaca, che doveva il suo nome al motto dell’imperatore Francesco Giuseppe.
Una lastra in pietra posta alla base del Faro reca l’iscrizione: “ A.D. MCMXXVII « SPLENDI E RICORDA I CADVTI SVL MARE (MCMXV – MCMXVIII) ». (Giorgio Catania)

Trieste – Faro della Vittoria in costruzione, da Barcola

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Trieste - Faro della Vittoria in costruzione, da Barcola

Il Faro della Vittoria nasce su progetto dell’architetto triestino Arduino Berlam (1880 – 1946), che si fa promotore dell’iniziativa già dal 1918, quando la Grande Guerra si è da poco conclusa. Per l‘edificazione del grande monumento, commemorativo i marinai caduti durante la guerra, e faro guida alla navigazione notturna nel Golfo di Trieste, venne scelta una posizione dominante a 60 metri sul livello del mare. Il Poggio di Gretta, un terreno roccioso che aveva già offerto le fondamenta a un’altra costruzione, l’ex forte austriaco Kressich, attivo dal 1854, che con i suoi cannoni proteggeva la spiaggia di Barcola.
La costruzione del Faro, iniziata nel gennaio 1923, vide il progetto originario del Berlam modificato dall’architetto Guido Cirilli, che ne dirigeva i lavori. L’opera venne completata il 24 maggio 1927, con un’inaugurazione solenne, presenziata dal Re Vittorio Emanuele III e dalla regina consorte, Elena di Montenegro. La possente struttura, costata 5.265.000 lire, del peso complessivo di 8.000 tonnellate, è rivestita esternamente di pietra – carsica di Gabria la parte inferiore e pietra istriana di Orsera nella parte superiore. La lanterna, collocata a 115 metri sopra il livello del mare, compie un giro intorno al proprio asse ogni 30 secondi e sprigionando una luminosità di 1.200.000 candele copre una portata di 30 miglia. Sopra la grande colonna cava, un capitello sostiene la “coffa”, riferimento agli alberi delle navi, in cui è inserita la gabbia di bronzo e cristalli della lanterna, coperta da una cupola di bronzo decorata a squame. Sopra la cupola svetta la grande statua in rame della Vittoria Alata, 7 quintali di peso, opera dello scultore triestino Giovanni Mayer (1863 – 1943), realizzata dal fabbro artigiano Giacomo Sebroth.
In basso si trova la figura del Marinaio Ignoto, 8,6 metri di pietra di Orsera, sempre su disegno di Giovanni Mayer, del maestro scalpellino Regolo Salandini. Sotto la statua è stata collocata l’ancora dell’Audace, la prima nave della Regia Marina Italiana, che il 3 novembre 1918 entrò nel porto di Trieste sbarcando il generale Carlo Petitti di Roreto, incaricato di proclamare l’annessione della città all’Italia. Dopo un viaggio a Zara il 7 novembre, per portare provviste alla popolazione civile, la nave tornò a Trieste il 10 novembre con a bordo il re Vittorio Emanuele III e i generali Armando Diaz e Pietro Badoglio. L’allora Molo San Carlo venne ribattezzato Molo Audace, mentre il lungomare contiguo assunse il nome di Riva 3 novembre.

Anche se convenzionalmente viene dichiarato che l’ancora collocata nel Faro è quella dell’Audace, probabilmente si tratta dell’ancora di un’altra nave, della R.N. Berenice. L’Audace, che alla proclamazione dell’armistizio, l’8 settembre 1943, venne Incorporata nella Kriegsmarine tedesca ed utilizzata in Adriatico in missioni di scorta, trasporto truppe e posa di mine, il 1º novembre 1944 venne affondata da unità navali inglesi al largo di Pago e il relitto venne individuato alla profondità di 80 metri soltanto nell’agosto del 1999, dai subacquei triestini Leonardo Laneve e Mario Arena.
Ai lati dell’ingresso del Faro sono posti due proiettili della corazzata Viribus Unitis, nave ammiraglia della Marina imperiale austriaca, che doveva il suo nome al motto dell’imperatore Francesco Giuseppe.
Una lastra in pietra posta alla base del Faro reca l’iscrizione: “ A.D. MCMXXVII « SPLENDI E RICORDA I CADVTI SVL MARE (MCMXV – MCMXVIII) ». (Giorgio Catania)

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Trieste - Faro della Vittoria in costruzione, 1926 circa

Il Faro della Vittoria nasce su progetto dell’architetto triestino Arduino Berlam (1880 – 1946), che si fa promotore dell’iniziativa già dal 1918, quando la Grande Guerra si è da poco conclusa. Per l‘edificazione del grande monumento, commemorativo i marinai caduti durante la guerra, e faro guida alla navigazione notturna nel Golfo di Trieste, venne scelta una posizione dominante a 60 metri sul livello del mare. Il Poggio di Gretta, un terreno roccioso che aveva già offerto le fondamenta a un’altra costruzione, l’ex forte austriaco Kressich, attivo dal 1854, che con i suoi cannoni proteggeva la spiaggia di Barcola.
La costruzione del Faro, iniziata nel gennaio 1923, vide il progetto originario del Berlam modificato dall’architetto Guido Cirilli, che ne dirigeva i lavori. L’opera venne completata il 24 maggio 1927, con un’inaugurazione solenne, presenziata dal Re Vittorio Emanuele III e dalla regina consorte, Elena di Montenegro. La possente struttura, costata 5.265.000 lire, del peso complessivo di 8.000 tonnellate, è rivestita esternamente di pietra – carsica di Gabria la parte inferiore e pietra istriana di Orsera nella parte superiore. La lanterna, collocata a 115 metri sopra il livello del mare, compie un giro intorno al proprio asse ogni 30 secondi e sprigionando una luminosità di 1.200.000 candele copre una portata di 30 miglia. Sopra la grande colonna cava, un capitello sostiene la “coffa”, riferimento agli alberi delle navi, in cui è inserita la gabbia di bronzo e cristalli della lanterna, coperta da una cupola di bronzo decorata a squame. Sopra la cupola svetta la grande statua in rame della Vittoria Alata, 7 quintali di peso, opera dello scultore triestino Giovanni Mayer (1863 – 1943), realizzata dal fabbro artigiano Giacomo Sebroth.
In basso si trova la figura del Marinaio Ignoto, 8,6 metri di pietra di Orsera, sempre su disegno di Giovanni Mayer, del maestro scalpellino Regolo Salandini. Sotto la statua è stata collocata l’ancora dell’Audace, la prima nave della Regia Marina Italiana, che il 3 novembre 1918 entrò nel porto di Trieste sbarcando il generale Carlo Petitti di Roreto, incaricato di proclamare l’annessione della città all’Italia. Dopo un viaggio a Zara il 7 novembre, per portare provviste alla popolazione civile, la nave tornò a Trieste il 10 novembre con a bordo il re Vittorio Emanuele III e i generali Armando Diaz e Pietro Badoglio. L’allora Molo San Carlo venne ribattezzato Molo Audace, mentre il lungomare contiguo assunse il nome di Riva 3 novembre.

Anche se convenzionalmente viene dichiarato che l’ancora collocata nel Faro è quella dell’Audace, probabilmente si tratta dell’ancora di un’altra nave, della R.N. Berenice. L’Audace, che alla proclamazione dell’armistizio, l’8 settembre 1943, venne Incorporata nella Kriegsmarine tedesca ed utilizzata in Adriatico in missioni di scorta, trasporto truppe e posa di mine, il 1º novembre 1944 venne affondata da unità navali inglesi al largo di Pago e il relitto venne individuato alla profondità di 80 metri soltanto nell’agosto del 1999, dai subacquei triestini Leonardo Laneve e Mario Arena.
Ai lati dell’ingresso del Faro sono posti due proiettili della corazzata Viribus Unitis, nave ammiraglia della Marina imperiale austriaca, che doveva il suo nome al motto dell’imperatore Francesco Giuseppe.
Una lastra in pietra posta alla base del Faro reca l’iscrizione: “ A.D. MCMXXVII « SPLENDI E RICORDA I CADVTI SVL MARE (MCMXV – MCMXVIII) ». (Giorgio Catania)

Trieste – Faro della Vittoria in costruzione

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Trieste - Faro della Vittoria in costruzione, 1925/26

Il Faro della Vittoria nasce su progetto dell’architetto triestino Arduino Berlam (1880 – 1946), che si fa promotore dell’iniziativa già dal 1918, quando la Grande Guerra si è da poco conclusa. Per l‘edificazione del grande monumento, commemorativo i marinai caduti durante la guerra, e faro guida alla navigazione notturna nel Golfo di Trieste, venne scelta una posizione dominante a 60 metri sul livello del mare. Il Poggio di Gretta, un terreno roccioso che aveva già offerto le fondamenta a un’altra costruzione, l’ex forte austriaco Kressich, attivo dal 1854, che con i suoi cannoni proteggeva la spiaggia di Barcola.
La costruzione del Faro, iniziata nel gennaio 1923, vide il progetto originario del Berlam modificato dall’architetto Guido Cirilli, che ne dirigeva i lavori. L’opera venne completata il 24 maggio 1927, con un’inaugurazione solenne, presenziata dal Re Vittorio Emanuele III e dalla regina consorte, Elena di Montenegro. La possente struttura, costata 5.265.000 lire, del peso complessivo di 8.000 tonnellate, è rivestita esternamente di pietra – carsica di Gabria la parte inferiore e pietra istriana di Orsera nella parte superiore. La lanterna, collocata a 115 metri sopra il livello del mare, compie un giro intorno al proprio asse ogni 30 secondi e sprigionando una luminosità di 1.200.000 candele copre una portata di 30 miglia. Sopra la grande colonna cava, un capitello sostiene la “coffa”, riferimento agli alberi delle navi, in cui è inserita la gabbia di bronzo e cristalli della lanterna, coperta da una cupola di bronzo decorata a squame. Sopra la cupola svetta la grande statua in rame della Vittoria Alata, 7 quintali di peso, opera dello scultore triestino Giovanni Mayer (1863 – 1943), realizzata dal fabbro artigiano Giacomo Sebroth.
In basso si trova la figura del Marinaio Ignoto, 8,6 metri di pietra di Orsera, sempre su disegno di Giovanni Mayer, del maestro scalpellino Regolo Salandini. Sotto la statua è stata collocata l’ancora dell’Audace, la prima nave della Regia Marina Italiana, che il 3 novembre 1918 entrò nel porto di Trieste sbarcando il generale Carlo Petitti di Roreto, incaricato di proclamare l’annessione della città all’Italia. Dopo un viaggio a Zara il 7 novembre, per portare provviste alla popolazione civile, la nave tornò a Trieste il 10 novembre con a bordo il re Vittorio Emanuele III e i generali Armando Diaz e Pietro Badoglio. L’allora Molo San Carlo venne ribattezzato Molo Audace, mentre il lungomare contiguo assunse il nome di Riva 3 novembre.

Anche se convenzionalmente viene dichiarato che l’ancora collocata nel Faro è quella dell’Audace, probabilmente si tratta dell’ancora di un’altra nave, della R.N. Berenice. L’Audace, che alla proclamazione dell’armistizio, l’8 settembre 1943, venne Incorporata nella Kriegsmarine tedesca ed utilizzata in Adriatico in missioni di scorta, trasporto truppe e posa di mine, il 1º novembre 1944 venne affondata da unità navali inglesi al largo di Pago e il relitto venne individuato alla profondità di 80 metri soltanto nell’agosto del 1999, dai subacquei triestini Leonardo Laneve e Mario Arena.
Ai lati dell’ingresso del Faro sono posti due proiettili della corazzata Viribus Unitis, nave ammiraglia della Marina imperiale austriaca, che doveva il suo nome al motto dell’imperatore Francesco Giuseppe.
Una lastra in pietra posta alla base del Faro reca l’iscrizione: “ A.D. MCMXXVII « SPLENDI E RICORDA I CADVTI SVL MARE (MCMXV – MCMXVIII) ». (Giorgio Catania)

Trieste – Il Faro della Vittoria in costruzione

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Trieste - Faro della Vittoria in costruzione, 1925/26

Il Faro della Vittoria nasce su progetto dell’architetto triestino Arduino Berlam (1880 – 1946), che si fa promotore dell’iniziativa già dal 1918, quando la Grande Guerra si è da poco conclusa. Per l‘edificazione del grande monumento, commemorativo i marinai caduti durante la guerra, e faro guida alla navigazione notturna nel Golfo di Trieste, venne scelta una posizione dominante a 60 metri sul livello del mare. Il Poggio di Gretta, un terreno roccioso che aveva già offerto le fondamenta a un’altra costruzione, l’ex forte austriaco Kressich, attivo dal 1854, che con i suoi cannoni proteggeva la spiaggia di Barcola.
La costruzione del Faro, iniziata nel gennaio 1923, vide il progetto originario del Berlam modificato dall’architetto Guido Cirilli, che ne dirigeva i lavori. L’opera venne completata il 24 maggio 1927, con un’inaugurazione solenne, presenziata dal Re Vittorio Emanuele III e dalla regina consorte, Elena di Montenegro. La possente struttura, costata 5.265.000 lire, del peso complessivo di 8.000 tonnellate, è rivestita esternamente di pietra – carsica di Gabria la parte inferiore e pietra istriana di Orsera nella parte superiore. La lanterna, collocata a 115 metri sopra il livello del mare, compie un giro intorno al proprio asse ogni 30 secondi e sprigionando una luminosità di 1.200.000 candele copre una portata di 30 miglia. Sopra la grande colonna cava, un capitello sostiene la “coffa”, riferimento agli alberi delle navi, in cui è inserita la gabbia di bronzo e cristalli della lanterna, coperta da una cupola di bronzo decorata a squame. Sopra la cupola svetta la grande statua in rame della Vittoria Alata, 7 quintali di peso, opera dello scultore triestino Giovanni Mayer (1863 – 1943), realizzata dal fabbro artigiano Giacomo Sebroth.
In basso si trova la figura del Marinaio Ignoto, 8,6 metri di pietra di Orsera, sempre su disegno di Giovanni Mayer, del maestro scalpellino Regolo Salandini. Sotto la statua è stata collocata l’ancora dell’Audace, la prima nave della Regia Marina Italiana, che il 3 novembre 1918 entrò nel porto di Trieste sbarcando il generale Carlo Petitti di Roreto, incaricato di proclamare l’annessione della città all’Italia. Dopo un viaggio a Zara il 7 novembre, per portare provviste alla popolazione civile, la nave tornò a Trieste il 10 novembre con a bordo il re Vittorio Emanuele III e i generali Armando Diaz e Pietro Badoglio. L’allora Molo San Carlo venne ribattezzato Molo Audace, mentre il lungomare contiguo assunse il nome di Riva 3 novembre.

Anche se convenzionalmente viene dichiarato che l’ancora collocata nel Faro è quella dell’Audace, probabilmente si tratta dell’ancora di un’altra nave, della R.N. Berenice. L’Audace, che alla proclamazione dell’armistizio, l’8 settembre 1943, venne Incorporata nella Kriegsmarine tedesca ed utilizzata in Adriatico in missioni di scorta, trasporto truppe e posa di mine, il 1º novembre 1944 venne affondata da unità navali inglesi al largo di Pago e il relitto venne individuato alla profondità di 80 metri soltanto nell’agosto del 1999, dai subacquei triestini Leonardo Laneve e Mario Arena.
Ai lati dell’ingresso del Faro sono posti due proiettili della corazzata Viribus Unitis, nave ammiraglia della Marina imperiale austriaca, che doveva il suo nome al motto dell’imperatore Francesco Giuseppe.
Una lastra in pietra posta alla base del Faro reca l’iscrizione: “ A.D. MCMXXVII « SPLENDI E RICORDA I CADVTI SVL MARE (MCMXV – MCMXVIII) ». (Giorgio Catania)